Ci sono voluti tredici anni per dare un successore a “
The light of a new sun” e in un panorama musicale come quello contemporaneo, in cui la riscossa del cosiddetto
retro-rock si fa sempre più pressante, il rischio è quello di confondere “
Where the river ends” nel marasma di uscite analoghe che si sono susseguite in questo lungo lasso di tempo e continuano freneticamente ad affollare la “scena”.
Sarebbe un errore, perché
J.C. Cinel (con i suoi sodali) non è uno dei “tanti” frequentatori del
rock old-fashioned ed è sufficiente anche solo un ascolto al nuovo lavoro per rendersene immediatamente conto.
Si potrebbe parlare di attitudine o di vocazione, ma, per quanto validi e discriminanti, forse si tratta di concetti un po’ troppo “astratti” da evocare a supporto di questa eccellente produzione discografica.
Ed allora parliamo di un aspetto maggiormente “concreto” e cioè dell’abilità nello scrivere e interpretare canzoni intense e coinvolgenti, un elemento prioritario qualunque sia il genere musicale selezionato.
Ebbene, i brani di “
Where the river ends” possiedono proprio quell’
appeal emotivo richiesto alla musica di livello superiore, facendo passare in secondo (o terzo …) piano il fatto che lasciano pochissimo spazio all’innovazione
tout court.
Così, se la tradizione dell’
hard-rock, quella intrisa di
blues e di
soul dei Bad Company, dei Savoy Brown, dei James Gang e degli Humble Pie, continua ad essere una feconda fonte di suggestioni sonore per la vostra esistenza di fieri
rockofili, il mio consiglio è di affidarvi completamente a “
City lights”, “
Oblivion” (con i suoi fraseggi degni della colonna sonora di un
film di
blaxploitation), “
Feel like prisoners” e “
Which side are you on”, tutta “roba” che percorre strade già tracciate da altri con innata disinvoltura, straordinaria cura e, soprattutto, tanta forza espressiva.
Agli ascoltatori più “raffinati”, poi, suggerisco un immediato contatto con “
Mindmaze / Red-handed” e “
How far we shine”, dove non è difficile scorgere accenni Pink Floyd-
iani, anche questi trattati con l’intensità e la sensibilità che distinguono l’autentica ispirazione dal
revivalismo posticcio e imitativo.
Come accennato, estendiamo il plauso ai collaboratori di
Cinel (tra cui il sempre fenomenale
Paolo “Apollo” Negri), efficacissimi nel supportare il titolare dell’opera nella sua felice esplorazione di una porzione importante della
Grande Storia del Rock, dipanata altresì attraverso le scosse
sudiste di “
Asylum 22” e “
Thank God I was alone”, le leggiadrie
folk di "
Karakal (Lost in Shangri-la)” e i languori
Bowie-eschi elargiti alla cangiante “
Strangers” e alle suggestive atmosfere “cinematografiche” della
title-track dell’
album.
Chiudiamo le annotazioni inerenti ai contenuti della raccolta con un elogio speciale rivolto a “
Burning flame”, una sorta di
hard-blues-psych-country che dimostra quanto si possa essere creativi anche attingendo a piene mani dai suoni “classici”.
Non sono moltissimi i dischi capaci di conferire all’appellativo “nostalgico” un enorme valore artistico, fondato sul primato assoluto della capacità di emozionare e coinvolgere … “
Where the river ends” di
J.C. Cinel è certamente una di queste rarità.
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