Come accaduto in precedenza a generi musicali di grande successo quali
hair-metal e
grunge, anche
crossover e
nu-metal hanno finito per esaurire la loro destabilizzante e impetuosa forza espressiva a causa di sovraesposizione, mancata selezione e anche dell’incapacità di rigenerarsi, “peccato mortale” per una formula sonora e concettuale che voleva e doveva essere “rivoluzionaria”.
In ossequio alla consolidata regola dei “corsi e ricorsi storici” che caratterizza da sempre il
rock n’ roll, già da qualche tempo però anche la commistione tra
hip-hop,
metal,
hardcore e
punk ha ricominciato ad attirare l’attenzione della “scena”, e tra i nomi più “caldi” del settore ci sono sicuramente i
Fever 333, capaci con gli
Ep “
Made an America” e “
Wrong generation” e l’
album “
Strength in numb333rs” di risvegliare istantaneamente le esigenze soniche dei cultori di Rage Against The Machine, Linkin Park, Downset e One Minute Silence.
Dopo l’abbandono della
band da parte di
Stephen Harrison e
Aric Improta, tocca al
leader (e a quanto pare straordinario
performer live)
Jason Aaron Butler fare in modo che tali defezioni non comportino deleteri contraccolpi, supportato dai nuovi innesti
Brandon Davis,
Thomas Pridgen (noto soprattutto per la militanza nei The Mars Volta) e
April Kae, che, oltre che per le esperienze esecutive, è conosciuta pure per l’attività di modella e di
social media content creator.
Arriviamo così (un po’ faticosamente …) alla domanda nodale della disamina … come suona “
Darker white”?
Beh, aver “temporeggiato” fino a qui cela, oltre alla necessità d’inquadrare l’intera questione, anche le perplessità con cui ho convissuto durante l’ascolto di un disco che nell'insieme si rivela un po’ troppo accomodante e manieristico (a tratti spunta addirittura l’odiato
autotune …).
Eccessi che non avevo riscontrato nei precedenti discografici dei
Fever 333 e che appaiono abbastanza “pericolosi” poiché parte integrante della primigenia decadenza del genere.
L’enfasi concessa alla componente squisitamente
rap della loro proposta è solo un aspetto, se vogliamo anche secondario, della faccenda … fermo restando l’impeto di una feroce critica socio-politica, a venire meno è il difficile equilibrio tra furia, creatività e adescamento, scompenso che finisce per limitare l’impatto complessivo dell’opera.
È il caso di della “plasticosa” costruzione armonica di “
Murderer” e di “
Tourist”, delle atmosfere alla Crazy Town di "
Nosebleeds” e pure della “ruffiana” ed Eminem-
esca “
Mob music Pt. 2”, tutto materiale abbastanza innocuo a livello sensoriale.
Andiamo meglio con "
Higher power”, che sfrutta le “direttive auree” del settore con una certa efficacia, con “
No hostages”, che riesce a condensare la furia pulsante dei RATM con l’affabilità dei Linkin Park e pure con “
$Wing”, che con il suo
refrain colloso finisce per rimanere aggrappata piuttosto tenacemente ai gangli neuronali.
Ai
fans di
Mike Shinoda & C. sembra dedicata "
Desert rap”, mentre in "
DOA” sono i Limp Bizkit ad affiorare tra le pieghe di un brano che complessivamente non suscita impressioni particolarmente memorabili.
“
New west order”, “
Bull & a bullet” e “
Do or die” sono discreti esempi di
hip-hop abrasivo e beffardo e anche il tocco elettronico concesso alla notturna “
Negligence” e alla strisciante "
Pin drop” (con qualcosa dei Beastie Boys nell’impasto sonoro…), potranno trovare degli estimatori, da reperire nella fascia dei
rockofili più
open minded.
In “
Darker white” manca l’urgenza di un gruppo che aveva lasciato intendere di poter contribuire con una certa personalità a “rimescolare le regole del gioco” e che invece, almeno musicalmente, non ha saputo dare un seguito veramente convincente alle intriganti premesse.