Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2024
Durata:53 min.
Etichetta:Hammerheart Records

Tracklist

  1. DARRKH... IT IS!
  2. THE GHOST THAT ONCE WAS I
  3. IN THIS SILENCE
  4. CEMETARY OF HEARTS
  5. GARDEN OF DESPAIR
  6. WHEN JUDAS SPINS THE WHEEL

Line up

  • Arkadius Kurek: vocals
  • Timo Maischatz: all instruments

Voto medio utenti

Sei frammenti sonici amari e solenni, grondanti passione e inquietudine, si susseguono in “Darrkh... It is!”, un quadro a tinte scure e fortemente evocative … ecco, in estrema sintesi quello che troverete nel debutto discografico dei tedeschi Aiwaz.
Volendo approfondire un po’ meglio la questione, diciamo che il duo teutonico libera tutti i suoi viscerali e mesti turbamenti espressivi attraverso una miscela musicale che attinge dal doom e dal death metal più romantico e decadente, aggiungendo all’impasto la teatralità melodrammatica ed onirica del prog-rock.
Qualcosa di simile ad una fusione tra My Dying Bride, Solitude Aeturnus, Solstice e Genesis, a cui si aggiungono scampoli di Crimson Glory e Queensryche, soprattutto grazie alla vocalità istrionica di Arkadius Kurek.
Senza nulla togliere al valente multistrumentista Timo Maischatz, è proprio il virtuosismo canoro di Kurek (voce anche dei Wheel, altra band a cui, fatalmente, i nostri possono essere accostati) a rendere maggiormente peculiare la proposta degli Aiwaz, capace di toccare le corde dell’emozione e superare un certo schematismo delle soluzioni armoniche, tipico del genere ma qui fin un po’ troppo tenace e didascalico.
Così, se il lirismo tragico e gli sporadici squarci in growl della title-track dell’opera (bello il visionario tocco vagamente Floyd-iano concesso al brano) e “In this silence” finiscono per avvicinare “Darrkh... It is!” alla liturgia gotica e languente del doom / death britannico, sono le introspezioni desolanti e folkeggianti di "The ghost that once was I”, la melodia ondeggiante e maestosa di “Cemetary of hearts” e i contorni dolenti e trionfali di "When Judas spins the wheel” a rendere il rituale sonoro ancor più coinvolgente ed avvolgente, intriso di sussulti emotivi che trasportano l’astante in una dimensione brumosa ed estremamente fascinosa.
Garden of despair”, infine, con il suo clima mistico e “cinematografico”, riesce a procurare un brivido speciale a tutti quelli che considerano Geoff Tate uno dei cantanti fondamentali della Storia del Rock.
Il futuro degli Aiwaz (a quanto pare l’albo in questione rappresenta il primo capitolo di una trilogia), oggi piuttosto attenti nel lambire appena gli eccessi “retorici” del suono tetro e pernicioso, è legato alla capacità di non permettere alla severa integrità della formula stilistica di limitare eccessivamente il proprio impeto artistico … per ora, molto promettenti.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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