Il primo album era uno straordinario esempio di Black Metal cosmico dalle forti tinte elettroniche che mi aveva emozionato profondamente.
"Het Donkere Volmaakte AI", seconda prova per
Druon Antigon, dopo quattro anni di silenzio, sorprende, e, in modo nuovo, emoziona ancora.
Il Black Metal, ma possiamo dire il Metal, è "solo" una parte del tutto: l'artista belga, infatti, abbandona ogni già flebile limitazione e lascia fluire, solo ed esclusivamente, il proprio istinto canalizzandolo in sei brani devastanti, misteriosi, oscuri, intrisi di EBM, IDM, Cyber Thrash, e maestose atmosfere spaziali in un viaggio, allucinante e assolutamente personale, tra il vuoto intergalattico che sta sopra le nostre misere esistenze umane.
Druon Antigon usa i sintetizzatori per incutere paura e per fare riflettere, traccia linee di chitarra che sono più gelide delle mani di un defunto, rallenta i tempi ai limiti del Doom per poi esplodere in velocità micidiali, urla con voce distorta le sue visioni spaziali, dipinge melodie aliene e scostanti, ma, soprattutto, ci regala musica con una anima maestosa ed una raffinata intelaiatura, distante, anni luce (è il caso di dirlo) dalla banalità e dalla mercificazione stessa del concetto di arte.
"Het Donkere Volmaakte AI" è un album diverso, sorretto da frequenze disturbate, alieno e sintetico.
Questo è un cuore meccanico che pompa liquido viscoso attraverso arterie di acciaio.
Questa è la voce che proviene dalle siderali distanze che la mente umana difficilmente può concepire.
Qui abbiamo il primordiale stupore di fronte all'infinito e la certezza, sconcertante, di non poterlo capire...
Druon Antigon... ben tornato sulla Terra.
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