Pur riconoscendone il valore “storico” e artistico, non sono mai stato un
fan sfegatato dei Krokus, che alle mie orecchie hanno sempre suonato come un eccessivamente “sfacciato” atto di venerazione nei confronti degli AC / DC.
Energia, competenza e buone dosi di
feeling, il tutto consacrato però ad un modello che ha fatto dell’intransigenza espressiva la sua “bandiera”, hanno fatalmente limitato la mia ammirazione nei confronti degli svizzeri, capaci tuttavia, a differenza di tanti altri “devoti”, di variare leggermente, nel tempo, il proprio canovaccio ispirativo (apprezzabile, ad esempio, la svolta melodica di “
The blitz”).
Ciò detto, considero
Marc Storace, voce degli elvetici, un eccellente rappresentante della fonazione modulata, dal timbro ruvido ed espressivo, in grado di evocare senza risvolti caricaturali l’effige indimenticabile del leggendario
Bon Scott.
Tante parole per inquadrare l’approccio, titubante e guardingo, con cui mi apprestavo a valutare “
Crossfire”, il secondo albo degli
Storace, il progetto “solista” del
vocalist di origine maltese.
Ebbene, in maniera non particolarmente “sorprendente”, siamo di fronte ad un prodotto sonoro riservato ancora una volta essenzialmente a chi considera l’
hard-rock anthemico e abrasivo di una nota formazione scozzese / australiana la propria “religione”, ma allo stesso tempo non mi sento di definire l’opera un calderone di scrupolose “scontatezze”, in virtù di un’urgenza espressiva abbastanza rara per dei veterani di questo calibro.
Come anticipato, la fonte ispirativa primaria è ampiamente confermata, ma se, per esempio, nutrite al contempo una spiccata predilezione per i Def Leppard (quelli di “
Pyromania”, in particolare), tra questi solchi troverete anche rimandi all’innata capacità dei britannici nel mescolare aggressività e immediatezza.
In mezzo a svariati inni dalle peculiarità molto “familiari” e non per questo poco coinvolgenti (“
Screaming demon”, "
Rock this city”, “
Millionaire blues”), si collocano così pezzi più “subdoli” e vagamente elettronici (“
Adrenaline”, l’ombrosa e poderosa ”
Sirens”), sconfinamenti di natura
sleaze ("
Thrill and a kiss”, qualcosa tra Kix e Britny Fox), fino ad arrivare al melodramma dagli accenti
sixties (“
Only love can hurt like this”), a testimonianza della ricca cultura musicale e della duttilità di un cantante che non è “solo” uno
shouter.
Altrove (“
Love thing stealer”, "
Let’s get nuts“, “
We all need the money”, “
Hell yeah”) la “dipendenza” diventa fin troppo appariscente e anche se non dubito dell’efficacia dei brani in un contesto
live, se “consumato” in ambito discografico, si tratta di materiale sonico decisamente meno attraente.
“
Crossfire” è un album fatalmente “tradizionalista”, che riflette la corposa storia di
Marc Storace e lo pone tra quegli artisti che, con coerenza e adeguate dosi di vitalità, continuano a proporre la “loro” visione del
rock n’ roll, rigorosa e per certi versi “semplice”, ma di certo non fastidiosamente “semplicistica”.