Sono ancora qui. La creatura di
Lee Payne non ne vuole sapere di tirare i remi in barca, e questo nonostante quelle difficoltà di stabilità a livello di formazione che attanagliano i
Cloven Hoof sin dai loro esordi, soprattutto nel ruolo del cantante, ad oggi nuovamente vacante.
Beh... su "
Heathen Cross", lavoro che segna anche il ritorno alla
High Roller Records, l'assenza è stata superata chiedendo "
l'aiuto da casa", o meglio andando a cercare soccorso oltreoceano, fino a Colorado Springs. E così, lasciata scorrere l'intro "
Benediction" sulla priestiana "
Redeemer" scopriamo dietro al microfono niente meno che un
Harry "The Tyrant" Conklin facilmente riconoscibile, senza che questo trasformi però i
Cloven Hoof in una dépendance dei Jag Panzer. Certo, ormai il sound della formazione inglese non è più caratterizzato dall'epicità sulfurea dell'esordio e con il tempo ha acquisito altre caratteristiche, anche a seconda di chi era nella band in quel dato momento, ma
Lee Payne ha sempre tenuto a dritta la barra cercando di garantire un'identità ai
Cloven Hoof. "
Do What Thou Wilt" e "
Last Man Standing" hanno un taglio più melodico e hardeggiante, soprattutto la seconda, grazie a quei cori anthemici che renderanno alla grande dal vivo. Si riprende a correre con "
Darkest Before the Dawn", veloce e coinvolgente cavalcata verso la NWOBHM, piacevolmente maideniana nel guitarwork (con un eccellente assolo di
Luke Hatton), al pari dell'ancor più serrata e rutilante "
Vendetta", incalzata com'è dal basso di
Payne e dal drumming di
Ash Baker.
I toni inquietanti sui quali si instrada "
Curse of the Gypsy" prima di rifugiarsi in quel break acustico che non può che esaltare le qualità di
Conklin, non trovano poi seguito nel brano, dato che più che rifarsi agli esordi dei
Cloven Hoof qui si fa l'occhiolino al songbook e alla discografia di Ronnie James Dio, cui rimanda anche la seguente "
Frost and Fire", sulla quale aleggia lo spirito di un album fondamentale come "Heaven and Hell". Non che la sinuosa "
Sabbat Stones" volti lo sguardo dall'altra parte, tutt'altro, anche per quel pacato mood seventies drappeggiato dai tasti d'avorio di
Chris Dando; tuttavia, se per il titolo era proprio era necessaria una citazione, avrei trovato più indicato un "Sabbath Eternal Cross" oppure "Headless Idol Sabbath" (giusto per darvi delle coordinate...).
Chiude "
Heathen Cross" l'episodio che più degli altri guarda – ammetto, un po' da lontano - ai primi passi di
Lee Payne: l'articolata e teatrale "
The Summoning" che si incammina su un bell'incipit strumentale dettato nuovamente da un energico
Baker, con il solito
Conklin a fare da mattatore ed i fraseggi di
Chris Coss e
Luke Hatton sempre in bella evidenza, il tutto per un riuscito tributo al miglior Hard & Heavy.
Un finale all'altezza della storia del gruppo e dei musicisti coinvolti.
Immagino che ora
Lee Payne cercherà un cantante all'altezza sia per promuovere dal vivo il verbo dei
Cloven Hoof sia per dare continuità discografica, ma devo ammettere che questa, seppur estemporanea, collaborazione ha funzionato. E alla grande.
"
Heathen Cross" è uscito già da diversi mesi, ma ho deciso di dire la mia sul nono studio album dei
Cloven Hoof anche per fare un sentito omaggio al loro ex cantante
Russ North, nella band prima sul finire degli anni '80 prendendo parte a "Dominator" e "A Sultan's Ransom", poi rientrato nel 2006 cantando sulla raccolta "The Definitive Part One", che ci ha lasciato proprio ad inizio di quest'anno.
Life is a Dream and Death a reality for me...
(da "Reach for the Sky" inclusa su "Dominator")
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