Finalmente il salto di qualità che mi aspettavo dai Mactatus. Dopo due album costruiti con tutte le caratteristiche per sguazzare nella mediocrità più assoluta, il gruppo svedese torna alla carica con una produzione prepotente ad opera di Peter Tagtgren. Ovviamente è scontato che il disco suoni in maniera ottima, e scommetto che se vi dico che si tratta di black metal moderno avete già capito cosa trovare all’interno del cd. Mai sentito un certo “Puritanical Euphoric Misanthropia”? Beh…a mio modesto parere l’ultima fatica dei Dimmu Borgir è l’album più influente degli ultimi cinque anni in ambito di metal estremo, perché ha creato una nuova generazione di musicisti, ma soprattutto perché ha convertito un notevole numero di gruppi alla causa di un certo tipo di sound, veloce, marziale e sinfonico allo stesso tempo. I Mactatus sono tra questi: sono andati a scuola, hanno imparato la lezione e ora provano a muovere i primi passi senza l’aiuto delle loro influenze principali. L’ago della bilancia è pericolosamente pendente verso il black metal questa volta; per fortuna le ritmiche heavy o thrash di chitarra sono state nettamente ridimensionate, mentre per l’ennesima volta bisogna registrare la fastidiosissima presenza della doppia cassa modello frullatore. La voce mi è piaciuta particolarmente: vicina al rigore e all’incisività di un certo Satyr che ha dettato le regole nel nuovo corso del black metal. Ecco: se dovessi citare un altro lavoro che ha leggermente ispirato questo “Suicide” direi l’ultimo “Rebel Extravaganza” dei Satyricon. Sinceramente però bisognerebbe osare qualcosa di più per riuscire ad emergere rispetto a quei due o tre album di questo genere che escono ogni mese. L’altra volta ci avevano provato mettendo una donnina svestita in copertina e foto di tettine nel booklet, stavolta l’artwork è più sobrio ma manca ancora quel quid per farmi esclamare: “cazzo, che album!” Promossi appena appena, ma da tenere d’occhio in futuro.
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