Al loro esordio discografico, gli ucraini
Deus Sabaoth dimostrano di avere le idee molto chiare e, mescolando black metal melodico, influenze derivanti dalla musica classica, arrangiamenti gotici, il tutto permeato da una atmosfera dolorosa, che quasi sembra rimandare ai maestri My Dying Bride, riescono a comporre sette brani davvero convincenti, sia per chi cerca il "brivido" dell'estremo, sia per chi, invece, risulti affascinato dall'eleganza di intrecci dal sapore teatrale e imponente.
"Cycle of Death", con le sue stratificazioni sonore e il songwriting molto curato, non è un ascolto immediato, non è un album diretto (straight in your face come direbbero in terra d'Albione), ma è un lungo viaggio attraverso l'ineluttabilità della morte e l'impotenza del genere umano di fronte ad essa, un viaggio che ha "sentori" death/doom di matrice inglese, ma anche l'intransigenza dell'estremo nero in una bilanciamento equilibrato, mai forzato e certo efficace, per quanto diverse soluzioni rimandino a questa o a quella scena non permettendo, dunque, all'album di potersi definire originale e nemmeno, ad essere pignoli, in linea con i tempi per il suo guardare indietro, verso epoche musicali ormai lontane ma, lo sottolineo, sempre avvincenti e sempre affascinanti nel loro essere, in qualche modo, avulse dallo scorrere del tempo.
I
Deus Sabaoth, giovani ma assai capaci, dunque, vi condurranno attraverso sentieri forse già battuti, ma vi dimostreranno, anche, che quando le idee sono di spessore, non è importante il mezzo che si sceglie per esprimerle, ma il fine ultimo a cui si arriva, un fine, nel nostro caso, fatto di magnificenza, tristezza, forza e sofisticatezza...
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