Nell’annosa contesa all’insegna del
“gruppo più seminale del rock”, gli AC / DC sono certamente in un’ottima posizione di classifica, avendo influenzato, in maniera più o meno marcata, miriadi di formazioni musicali (dai Krokus agli Airbourne, passando per Rhino Bucket, Cinderella e Nevada Beach, ma arrivando anche a “gente” come Judas Priest e Accept …).
Chiunque voglia dedicarsi alla versione più viscerale,
anthemica e “sudata” del genere deve in qualche modo fare i conti i celebri australiani, ma la questione diventa un po’ più complicata quando l’ispirazione diventa qualcosa di più sfrontato, avvicinandosi pericolosamente al concetto di “plagio”.
I francesi
Overdrivers rischiano seriamente di venire etichettati alla stregua di una “cover band” e sebbene nella loro proposta non ci sia proprio nulla di originale e la ricalcatura della quintessenziale formula espressiva degli AC / DC sia pressoché assoluta, credo che questo “
Glory or nothing” (titolo, tra l’altro, idoneo a fungere da
slogan della nostra
gloriosa testata virtuale …) meriti una certa considerazione, in virtù della capacità del quartetto di intridere i suoi pezzi di uno smalto e di un
feeling abbastanza coinvolgenti, attivando nell’astante i gangli neuronali responsabili dello “svago”, un aspetto insito nei canoni fondamentali del
rock n’ roll e invece spesso sovrastato dalla ricerca spasmodica della dotta creatività artistica.
Per sintetizzare, potremo dire che, ben lontani dal proporre un “capolavoro epocale”, gli
Overdrivers sanno come divertire gli estimatori di questa disciplinata formula sonora, i quali, in quanto tali, difficilmente potranno finire per essere affiliati alla corporazione dell’
intellighenzia rockofila più snobistica.
Sostenuti da buone doti tecniche ed interpretative, a cui si aggiunge un’opportuna dose di umorismo, i transalpini celebrano i loro egemoni modelli attraverso tipici inni ad alto voltaggio, magari talvolta un po’
naif (“
Kings of the road”, “
Overdrivers”, “
Bad breath girl", “
Perfection is my name”) e tuttavia sempre piuttosto trascinanti (“
Glory or nothing”, “
My girlfriend is a pornstar”, “
Guitar playboy”, "
Ready for the rodeo”), arrivando poi a metallizzare il
sound fino alle soglie del
Valhalla Accept-
iano (“
Cobra kai”, "
We are one”, “
In fear, blood and fire” e la minacciosa “
Meet the monsters”) e garantendo così a chi non s’indigna di fronte all’ampio ricorso dei
cliché del settore tre quarti d’ora di gradevoli vibrazioni senza troppe “pretese”.
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