“
Dopo un grande dolore viene un senso solenne,
i nervi stan composti, come tombe.
Il Cuore irrigidito chiede se proprio lui
soffrì tanto? Fu ieri o qualche secolo fa? (…)
Questa è l’ora di piombo, e chi le sopravvive
la ricorda come gli assiderati rammentano la neve;
prima il freddo, poi lo stupore, infine
l’inerzia.”
L’ineffabile
Emily Dickinson, con circa 150 anni d’anticipo, aveva già inquadrato alla perfezione la parabola artistica ed il cupo immaginario degli
Harakiri for the Sky.
Da sempre cantori del lutto, della malinconia e del tormento interiore, i Nostri giungono quest’oggi all’invidiabile traguardo del sesto
full length -i recenti
reboot dei primi due non li calcoliamo, visto il ragguardevole tasso d’inutilità che li affligge-.
“
Scorched Earth”, volendo dirigersi
ex abrupto al nocciolo della questione, opera in conclamata coerenza stilistica coi suoi predecessori, coi pro e contro che ne derivano.
Certo: volendo rinvenire a tutti i costi elementi di discontinuità, si potrebbe porre in risalto il maggior ricorso a partiture soffuse dal taglio melodico, oppure mettere in luce la diversa coloritura ai brani fornita dalle ospitate vocali (fra cui
Serena Cherry degli
Svalbard e
Tim Yatras degli
Austere); ancora, si potrebbero posizionare i riflettori sul
drumming, a questo giro affidato a
Kerim Lechner.
Si potrebbe, ma si tratterebbe di un esercizio piuttosto sterile: la verità, almeno alle mie orecchie, è che “
Scorched Earth” vada rubricato alla stregua di un -pur splendido- “
more of the same”; per accorgersene, basteranno i passaggi iniziali dell’
opening track “
Heal Me”, che come per incanto sapranno materializzare tutti, ma proprio tutti, i tratti distintivi che hanno reso la compagine austriaca così riconoscibile e apprezzata all’interno del sempre più affollato panorama estremo.
Questo, a parere di chi scrive, è senz’altro un bene, pur con qualche opportuno distinguo.
In primo luogo, non si è ancora trovato il modo di sfoltire i brani da ripetizioni e passaggi inessenziali; anzi, se possibile “
Scorched Earth” riesce addirittura ad incrementare il tasso di prolissità complessivo.
In seconda istanza, tornando ai profetici versi della poetessa americana, va evidenziato come, dopo il freddo e lo stupore, siamo infine giunti all’
inerzia, intesa qui in senso squisitamente compositivo.
In effetti, autentiche gemme di puro mal di vivere come “
Without You I’m Just A Sad Song”, “
Keep Me Longing” e “
Too Late For Goodbyes” non potranno lasciare indifferenti, né si potrà negare il superiore calibro artistico degli
Harakiri for the Sky.
Nel contempo, onestà intellettuale impone di rilevare come un minimo di mestiere, di stanchezza e di senso di ripetizione, qua e là, emergano.
Vedremo se, in futuro,
M.S. e
J.J. sapranno in qualche modo rinnovarsi; per ora, comunque sia, godiamoci senza eccessivi snobismi l’ennesimo
platter fantastico di una
band che, pur nell’inerzia, sa emozionare come poche altre.
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