Il fiero ed aprioristico spirito di antagonismo, perlomeno nella sua trasposizione musicale, è un atteggiamento tutt’altro che disprezzabile, specie se applicato al nostro genere prediletto.
In alcune occasioni, tuttavia, capita di avvitarsi in spirali di opposizione al sistema talmente profonde che, per assurdo, finiscono per ritorcersi contro gli stessi antagonisti.
È il caso, a mio umile avviso, dei
Mantar, quest’oggi vittime della loro ferrea – e in ultima analisi stolida, ahimè- volontà di deludere le altrui aspettative.
Così, dopo un
album a
loro avviso troppo prodotto, rifinito ed “educato” come “
Pain Is Forever and This Is the End” del 2022, i Nostri hanno preso la deliberata decisione di imboccare il sentiero della viscerale semplificazione.
“
Post Apocalyptic Depression”, dunque, si presenta così ai nastri di partenza:
-
sound minimale e scabro (le registrazioni sono avvenute in presa diretta, e con la strumentazione già presente in loco, ai floridiani
Black Bear Studios);
- arrangiamenti ridotti all’osso (il processo è stato “
quick and dirty” per stessa ammissione della
band);
- semplificazione strutturale dei pezzi (pare ne abbiano composti una ventina in appena due giorni, per poi scegliere i migliori da inserire nell’
album);
- decisa virata stilistica verso il
punk più abrasivo (elemento, questo, da sempre presente, ma mai in modo così preponderante).
Al netto dei gusti di ognuno, e pur apprezzando l’innegabile onestà artistica con cui il duo teutonico ha confezionato il
platter, preme rilevare come la sopra descritta operazione di ripulitura dagli orpelli non abbia pagato gli auspicati dividendi.
Dei dodici brani presenti in scaletta, infatti, alcuni funzionano (citerei in tal senso “
Absolute Ghost”, la sordida “
Rex Perverso” e la trascinante “
Halsgericht”) mentre altri meno (la conclusiva “
Cosmic Abortion”, copia-incollata da “
Thunder Kiss ‘65” dei
White Zombie, le insipide “
Principle of Command” e “
Dogma Down” e la ripetitiva “
Axe Death Scenario” le mie principali indiziate).
Il nocciolo della questione, tuttavia, è un altro, ed ha a che fare con una traiettoria artistica che, a parere di chi scrive, ha subito, in termini di ispirazione compositiva e di intrinseca qualità della proposta, una battuta d’arresto.
Prova ne sia che, una volta terminati gli ascolti “istituzionali” necessari a recensire l’opera, non abbia più percepito alcuno stimolo a rimettere nello stereo “
Post Apocalyptic Depression”; coi
Mantar, ahimè, non mi era mai successo prima d’ora.
Una leggera battuta d’arresto, ad ogni modo, ci può stare; a partire dal prossimo
full, nondimeno, auspico un dispiego meno esasperato di spirito di antagonismo, ed una maggior dose di raziocinio.
Mamma mia, che raccomandazione da vecchio metallaro matusa…