Tornano sulle scene dopo cinque anni gli americani
Lady Beast, con quello che oramai è un bagaglio di esperienza, dal 2009 ad oggi, di heavy metal classico che difficilmente può far scontentare chi ha questo genere nel cuore. Primi tra i fautori della NWOTHM e della sua successiva esplosione, se così vogliamo definirla pur rimamendo sempre un movimento prettamente underground, assieme ad altre band come Enforcer, Skull Fist e Striker, i cinque avevano già le idee chiare su cosa proporre, e come farlo. Riprendendo la lezione impartita da grandi come Judas Priest, Mercyful Fate, Iron Maiden, ma anche Diamond Head e Tokyo Blade, come spesso accade nelle band facenti parte di questo movimento, i
Lady Beast sono andati avanti negli anni arrivando al comunque importante traguardo di cinque album in studio, di cui questo
'The Inner Alchemist' è, per l'appunto, l'ultima uscita che deve confermare la già ottima qualità intravista nel precedente 'The Vulture's Amulet'. Presentato, anche stavolta, con un bellissimo artwork a cura di
Adam Burke, il disco sin dall'annuncio sembrava avere tutte le potenzialità per ribadire la crescita stilistica del gruppo da un paio d'anni a questa parte.
Primo ad uscire sotto la
Dying Victims, diciamo sin da subito che
'The Inner Alchemist' non è per nulla un brutto album, o sottotono. La riprova dell'energia che contraddistingue questi musicisti c'è, chiara come il sole in pezzi come
'Witch Light' e
'Through the Eyes of War' che presentano molte parti dove le twin guitars di
Chris Tritschler e
Andy Ramage rendono omaggio esplicito agli Iron Maiden (sopratutto la seconda), come è nuovamente presentato anche nella breve ma ottima strumentale
'Witch Light'. Ci sono però anche partidove questo classicismo viene messo da parte per un lavoro di chitarra molto più furioso e veloce, come
'Crone's Crossroads' (dal ritornello meno speed) che e
'Off with Their Heads', anch'essa con un chorus di facile presa e immediatamente assimilabile. La performance vocale di
Deborah Levine è sicuramente encomiabile, pur non raggiungendo particolari picchi di cambi di registro o un carisma singolare, ma il suo lavoro viene svolto senza sbavature o passaggi stonati. Vera hit del disco è decisamente
'Starborn', introdotta da un arpeggio che riporta ai Judas Priest del primo periodo, seguito poi da un mid tempo dal ritornello arioso, prendendo poi velocità nel finale con un assolo davvero degno di nota.
Ancora un'altra convincente prova dai
Lady Beast pertanto, i quali dopo cinque anni dalla loro ultima fatica non sembrano per nulla aver messo il freno a mano. Non cambierà il 2025, ma
'The Inner Alchemist' è un disco che vi consiglio di non farvi sfuggire, o di buttarlo velocemente nel mucchio, molte parti al suo interno potrrebbero regalarvi delle soddisfazioni.
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