C'è qualcosa nella musica dei
Drudkh, qualcosa che la rende speciale e la distingue da ogni altra.
Sarà l'innato gusto per le melodie ariose, sarà la rabbia repressa, sarà l'indissolubile legame con la propria Terra martoriata, sarà la viscerale passione che li muove, sarà qualcosa che non si percepisce a livello conscio ma che, invece, ti scava dentro l'animo nel profondo, sarà tutto questo, ma ogni lavoro degli ucraini, sottolineo "ogni", è un micro cosmo di emozioni e di grande, spesso grandissima, arte musicale.
"Shadow Play" non avrebbe potuto deludere nemmeno se
Roman Saenko e soci avessero voluto: troppa classe, troppo talento, troppa genuinità nel loro Black Metal pagano per poter pensare una cosa del genere, troppo dolore, troppa sofferenza nella loro Patria per potersi aspettare un album di plastica e non vibrante ed "eroico" come questo.
Per i più superficiali,
"Shadow Play" potrebbe essere il
solito lavoro dei
Drudkh, e forse è anche così, ma se lo standard è di questa qualità, beh, allora ben venga il riproporre la stessa formula, ben venga il perfetto matrimonio tra melodie tristi ed evocative e la brutalità dello spietato metallo nero, ben venga, dunque, quello che ci si aspetta da un gruppo di Maestri come gli ucraini poichè, onestamente, ogni altra considerazione lascia il tempo che trova così come le risibili "accuse" che, troppo di frequente, accompagnano le realizzazioni di un gruppo che dovrebbe essere considerato, solo e soltanto, patrimonio della musica tutta.
"Shadow Play", e così doveva essere, è un album simbolo di profondità artistica in cui corporeo ed etereo si fondono perfettamente, è, per tutto quanto detto fino ad ora, un'esperienza evocativa che ti sfida a confrontarti con i tuoi demoni in una danza, di luce e tenebra, che si tramuta, sotto i tuoi occhi estasiati, in capolavoro (si, il "solito" capolavoro) senza tempo e senza confini spaziali.
Immortali.
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