Dopo qualche mese o stantio a causa di lavori non esaltanti dei grandi nomi o troppo pregno di sperimentazioni e deviazioni che avevano allontanato il death metal dalla propria identità, da fine 2024 stiamo assistendo ad una vera e propria rinascita del movimento a livello internazionale.
Anche in patria per fortuna ci stiamo difendendo bene e, cronologicamente, i primi ad aver avviato questa ripartenza sono i romani
Kaivs, nati nel 2022 e giunti all'esordio con l'EP "
Horrend" dell'anno successivo, antipasto di tre brani utile anche per far circolare il nome tra le etichette specializzate.
Etichette che hanno notato la bontà del quartetto romano e tra tutte la statunitense
Brutal Records si è assicurata la pubblicazione di "
After the Flesh", opera prima dei nostri composta dai tre brani riregistrati di "Horrend" più cinque nuovi brani per un equilibrato totale di 36 minuti totali, durata perfetta in totale linea old-school.
Old school che è una sintesi della proposta dei Kaivs che sin dal mid-tempos dell'opener "
Koshercannibal" e con la seguente e funerea "
Beyond The Autopsy" mettono subito le carte in tavola; siamo di fronte ad un sound che paga tributo alla scuola svedese, fatta di chitarre a motosega e pedalino HM2 della Boss, seppure in questo caso la produzione sia solo un supporto e non una pedissequa copia di quanto proposto da
Entombed,
Dismember,
Grave e compagnia cantante.
Siamo infatti di fronte ad una reinterpretazione della scena di Stoccolma, miscelata in quest'occasione con altre correnti europee, specie quelle più soffocanti e marziali come gli inglesi
Bolt Thrower e specialmente gli
Asphyx di inizio anni '90, sancendo rallentamenti che talvolta vanno a confluire in vero e proprio death-doom di matrice primi
Paradise Lost e
My Dying Bride dei primi album.
Tuttavia il songwriting dei Kaivs risulta assai eclettico, persino con derive più "sguaiate" e grezze, improntate su ispirazioni di natura thrashy, quasi hardcore e crust, dove però la velocità raramente si porta su bpm esasperati, anzi tendendo spesso a rallentare che ad accelerare.
Non mancano ovviamente i momenti più efferati come in "
Blooduniverses" o "
Blasphemer After The Flesh" ma si tratta più che altro di estemporaneità, tornando entro pochi secondi a prediligere andamenti marziali.
La bella cover ad opera di
Juanjo Castellano, che anch'essa ci riporta alla golden age del death metal di inizio anni '90 è la ciliegina su una torta che potrebbe essere ancor più guarnita con l'inserimento di assoli lancinanti, pressochè assenti, e sinistre melodie che tanto bene starebbero su riff così granitici, con magari un lavoro di batteria più articolato ed al contempo una eterogeneità dei brani che, differenziando maggiormente la velocità degli stessi, permetterebbe un apprezzamento di una proposta più eclettica e variegata ma nel frattempo ci godiamo la furia primordiale di "After the Flesh".
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