Instancabile
Rogga Johansson!
Bisognerebbe fargli un monumento; se non altro, per la sua prolificità compositiva!
Infatti, oltre ai numerosi progetti portati egregiamente avanti, ormai da più di 25 anni, tra cui, in questa sede ricordiamo (per brevità) solamente, i
Paganizer, o i più recenti e classici
Gauntlet Rule, (senza dimenticare i suoi trascorsi nei
Massacre o nei gloriosi
Edge Of Sanity), il chitarrista/vocalist svedese giunge, con la sua creatura, denominata
Furnace (di cui fanno parte anche
Peter Svensson al basso e
Lars Demokè alla batteria) all’invidiabile traguardo del sesto album in soli 5 anni!
Eternally Enthroned mette in evidenza tutti i crismi tipici del song-writing della band, basato su un melodeath abbastanza singolare, che sembra godere particolarmente nel flirtare con la musicalità, strizzando vistosamente l’occhio a generi più tradizionali, che spaziano dall’heavy, al thrash, al doom/gothic.
Fondamentalmente, in questo lavoro, di death, nel senso stretto del termine, c’è ben poco: giusto il growl di
Rogga Johansson e qualche atmosfera leggermente oscura, nulla più.
Dimenticatevi quindi l’aggressività primordiale e la velocita schizofrenica dello swedish death tradizionale di
Dismember o
Unleashed, ma anche l’irruenza malinconica e le strutture articolate di
In Flames,
Desultory o
Dark Tranquillity; il sound dei
Furnace punta molto (quasi tutto) sull’immediatezza di melodie cupe e, sotto questo profilo probabilmente, il modello di riferimento più vicino alla band, è da individuare, con le debite proporzioni naturalmente, negli indimenticabili
Cemetary di
Godless Beauty, chiaramente senza il genio, in fase di song-writing di Mathias Lodmalm (e non è poco) ma, tutto sommato, l’attrazione delle composizioni verso trame di matrice gothic, è la medesima.
Ad ogni buon conto,
Eternally Enthroned si rivela un album piacevole, sospeso tra linearità e voglia di sperimentazione, che però, non si evolve mai completamente, rimanendo sempre in uno stato embrionale. Il disco si snoda attraverso tracce dalla struttura semplice (vedasi, ad esempio,
Crow Warriors,
Thornblade, To Fathom The Depths Of Nights) e dagli arrangiamenti minimali (
Tyrant’s Reign,
Island Of The Decay Angel,
Godsbane, o ancora,
A Blessing And A Curse), eppure sorprendentemente efficaci, per merito della loro breve durata, (nessun pezzo raggiunge i 4 minuti), in cui, si concentra l’intero potenziale della loro forza evocativa.
Probabilmente, i deathsters più fanatici, potrebbero considerare i
Furnace una band innocua e, forse, nemmeno li annoverano tra gli esponenti della musica estrema, nell’accezione più tradizionale del termine; tuttavia, ragionando in maniera più ampia e prendendo il disco per quello che è, ossia un discreto album di dark-melodic metal (forse questa è la definizione che meglio lo rappresenta), ci si rende conto che
Eternally Enthroned è un lavoro artisticamente onesto, gradevole e decisamente rispettabile.