Morto un Papa, si sa, se ne fa un altro: tema di strettissima attualità, che noi circoscriveremo
sobriamente (considerato anche che l’
album esce il 25 aprile) all’ambito musicale.
Spazio, quindi, a
Papa V Perpetua e al sesto
full length dei
Ghost.
Com’è, dunque, questo “
Skeletá”?
Partirei dalla (mia) conclusione: non un capolavoro, ma un discreto passo avanti rispetto al precedente “
Impera”, che a distanza di anni continuo a ritenere scostante e complessivamente sciapo.
Anche a questo giro, i Nostri calcano la mano sugli elementi “soft” del loro
sound, ma lo fanno, almeno a mio parere, in modo più che convincente. La componente melodica, i
chorus catchy, le strofe ad altro grado di assimilabilità, le linee vocali memorizzabili costituiscono infatti l’architrave su cui la
tracklist viene eretta.
Per farvi un’idea in proposito vi basterà posare le orecchie sul ritornello dell’iniziale “
Peacefield”,
eighties che più
eighties non si può, sulle contagiose spire armoniche della successiva “
Lachryma”, sorta di impura unione tra “
Of Wolf and Man” dei
Metallica e “
Poison” di
Alice Cooper, o ancora sulla ruffianeria
anthemica di “
Marks of the Evil One”, che riuscirete a togliervi dalla crapa solo attraverso la lobotomia.
A questo giro, invece, non si è esagerato con le
ballad: giusto due, a metà e fine
platter.
Porrei “
Guiding Lights” ed “
Excelsis” sul medesimo piano anche in termini qualitativi: non imprescindibili, ma senz’altro piacevoli e ben arrangiate.
Come spesso accade con le composizioni di
Tobias Forge, i riferimenti stilistici non paiono troppo ardui da scovare: il
mid tempo “
Missilia Amori”, giusto per citare qualche esempio, sembra prelevato a forza dal
songbook dei
Def Leppard, mentre il suggestivo
break strumentale di “
Umbra” chiama in causa i cari vecchi
Deep Purple.
Come ovvio, il tutto viene poi rielaborato e
ghostizzato a dovere, oltre che condito da qualche chicca; cito,
ex multis, gli assoli di chitarra, disseminati in modo tutt’altro che parsimonioso, ed immancabilmente gustosi.
“
Skeletá”, l’avrete capito, è in ultima analisi un prodotto furbone, sornione e piacione. Un prodotto, al tempo stesso, a suo modo onesto, visto che non prova nemmeno a celare le proprie influenze né, tantomeno, le proprie mire commerciali.
La patina di occulto, così come quella metallica, è da tempo flebile ed in qualche misura posticcia, confinata ormai all’immaginario visivo della band, ad alcuni, sparuti riff di chitarra ed a qualche riferimento nelle
lyrics. Vedremo cosa riserva il futuro, ma ad oggi i
Ghost sono questi.
Con ogni probabilità, non sarà quest’ultima fatica discografica a spostare consensi in modo vistoso: se a monte vi professavate detrattori della compagine mascherata, continuerete serenamente a qualificarvi come tali anche al termine dell’ascolto (sempre ammesso che lo concediate).
Fedeli ed agnostici, invece, potrebbero rimanere favorevolmente sorpresi: i pezzi funzionano, restano impressi senza risultare stucchevoli, e a sorpresa, nonostante la loro semplicità strutturale ed esecutiva, crescono ad ogni passaggio nello stereo.
Io esprimo dunque
sobria soddisfazione, e non vedo l’ora di ascoltare i nuovi brani in occasione dell’imminente
show milanese.