"Nattens Madrigal" (il madrigale della notte): "sette inni al lupo nell'uomo". Così hanno chiamato e sottotitolato la loro ultima fatica black metal gli Ulver, prima dell'approdo ad altre sonorità con il successivo album. Ancora una volta il gruppo norvegese ci lascia spiazzati: dopo le splendide melodie di Bergtatt e il folk acustico di Kveldssanger, cosa ci viene proposto stavolta? "Nattens Madrigal" è certamente l'album più fastidioso, doloroso e senza compromessi della storia del black, anche più di "Transylvanian Hunger" dei Darkthrone. La tradizione dice che la Century Media, dopo aver messo sotto contratto gli Ulver, avesse consegnato loro un grande budget per la produzione dell'album. Garm e Havaard avevano invece altri progetti: portarono un quattro tracce nel bosco, collegarono un microfono alla batteria e registrarono il tutto in queste condizioni. Ovviamente alla Century Media in molti si chiesero dov'erano finiti i loro soldi: la risposta non tardò ad arrivare, quando sul booklet del seguente "Themes..." apparve la foto del gruppo su una fiammante Corvette in abiti ultra-eleganti. Che questa leggenda sia vera o no, la produzione di "Nattens Madrigal" è una delle più scadenti e confusionarie che mi sia capitato di ascoltare. Credere che questo sia un difetto va contro alla natura stessa dell'album: come fa un produzione sporca, grezza, disperata ad essere sbagliata, quando poi i testi non parlano altro che di oscurità, licantropia e aggressività? Il primo contatto con l'album è al limite del trauma: l'Inno I, sottotitolato "Wolf And Fear", raggiunge la cacofonia grazie a chitarre con gli acuti regolati al massimo e ad assoli messi lì apposta per fare a fette le orecchie dell'ascoltatore. Intorno al minuto fa la sua comparsa la buona vecchia chitarra classica di Bergtatt e per qualche secondo ci viene anche da pensare se poi alla fine l'album non si risolverà nello stesso modo. Niente di più sbagliato... essa non tornerà più e questo è un altro segno della band che ci avverte che le vecchie sonorità appartengono ormai ad un passato lontano. Se c'è qualcosa che ci può alimentare il ricordo, quella cosa sono i riff: nonostante una certa vena death metal, la malinconia e la rabbia sono sempre le stesse di Bergtatt. Da sottolineare, ma questa riflessione richiede un pò di ascolti, la generale qualità delle melodie, spesso evocative e suggestive. Si segnalano, tra le altre, il riff iniziale e conclusivo dell'Inno VI ("Wolf And Passion"), ripreso da un vecchio demo mai pubblicato e l'epica conclusione dell'Inno VII ("Wolf And Destiny"). Non si può certo dire che in generale l'ascolto di "Nattens Madrigal" sia qualcosa di piacevole: è un'esperienza dura e cruda attraverso la storia di un uomo che diventa licantropo dopo aver stretto un patto con Satana. Gli Ulver fanno di tutto per rispettare musicalmente le tematiche dell'album, non rinunciando in alcuni punti ad "imbruttirlo" appositamente più di quanto sarebbe stato necessario in un album ordinario. Pagato il loro tributo al black metal, gli Ulver come li abbiamo conosciuti finora non sarebbero mai più esistiti. Ci rimangono tre album di assoluto spessore, e la certezza che il gruppo norvegese ci abbia lasciato in questo senso tutto quello che era nelle sue possibilità. D'ora in avanti solo minimalismo ed elettronica... ma questa è un'altra storia.
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