"An album about hunger and suffering."
I danesi
Sult descrivono così il loro omonimo esordio discografico, uscito in sole cento copie l'anno scorso e, finalmente, oggi, ristampato grazie alla piccola
Deadbangers. Sinceramente, sarebbe stato difficile inquadrarlo meglio.
Siamo al cospetto, infatti, di sette brani di Black Metal misantropico, tormentato, dalle atmosfere cariche di sofferenza (senza che si tocchino lidi depressive), tagliente e sferzante, in cui si alternano
lancinanti momenti laddove le velocità scendono a sottolineare la visione desolata del mondo, ed aggressioni feroci, quasi fameliche, in cui lo spirito di quello che era una volta emerge prepotente.
"Sult" suona come il soffio della morte, è ancorato alla tradizione dei primi anni '90 senza rinunciare, tuttavia, a qualche "tocco" più moderno, riesce a toccare l'animo degli amanti dell'estremo (nero) con punte di poesia nichilista che si dipana, maestosa ed altera, attraverso note epiche, dissonanti ed in sincronia con la grandezza di Madre Natura, sorrette da un micidiale riffing di alta scuola, da una sezione ritmica demoniaca e mai banale, e dalle strazianti urla di un vocalist che si trasforma, egli stesso, in strumento.
Tutto attorno è oscurità, disperazione, nulla.
Questa non è "semplice" musica, questo è il Black Metal in una delle sue forme più incandescenti e pure, distantissimo, quindi, da vile mercificazione e pagliacciate assortite.
Per quanto mi riguarda, album da culto.
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