Secondo disco per gli
Hearts On Fire (debutto nel 2018 con “
Call of destiny”), gruppo edificato attorno alle figure artistiche di
Jean Funes e
Joel Mejía, noti per la militanza nei Silent Tiger.
Un precedente che per quanto mi riguarda non risultava particolarmente “incoraggiante”, mentre la presenza di
Mark Boals,
Eric Ragno e
Dennis Ward (ospite al basso e artefice di missaggio e masterizzazione dell’opera), forti di
curricula ampi e (molto spesso) fonte di cospicua soddisfazione uditiva, rendeva l’approccio con “
Signs & wonders” decisamente più stuzzicante.
Alla prova dei fatti, l’albo appare un discreto esempio di
hard melodico dal piglio vagamente “enfatico”, da consigliare a chi apprezza “gente” come Khymera, Pink Cream 69, Crown of Thorns e Ten, e non disdegna certe sonorità declinate in forma leggermente “dimessa” sotto il profilo compositivo.
Se esecutivamente, infatti, come prevedibile, non si riscontrano particolari carenze (con
Boals che si conferma il classico “valore aggiunto” della situazione), sono le “canzoni” a non convincere appieno, sovente costruite su melodie un po’ troppo prevedibili e non sempre abbastanza incisive.
In un contesto generale di questo tipo, ad emergere sono “
Sign in the sky”,
“Lights & shadows”, “
Restless heart”, “
Road to eternity” e le “mitteleuropee” “
Eleventh hour” e “
World torn in two”, in grado di contribuire in maniera sostanziale alla valutazione tutto sommato ampiamente positiva di “
Signs & wonders”.
Il resto della raccolta “fluttua” sui sensi senza molestarli ma anche senza riuscire a soggiogarli come richiesto in un periodo storico dove la concorrenza di settore è tremendamente agguerrita e competente.
Difficile, dunque, per gli
Hearts On Fire “incendiare i cuori” degli estimatori del genere, i quali però troveranno in “
Signs & wonders” tre quarti d’ora di mite e piacevole “tepore” musicale.
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