Del
curriculum “storico” di
Glenn Hughes, per non rischiare d’indispettire i nostri eruditi lettori, eviterò di parlare, mentre tengo a sottolineare come il nostro faccia parte di quella generazione di “veterani” instancabile e vitale, apparentemente indifferente alle inclemenze del tempo.
Senza voler andare troppo indietro nel calendario, California Breed, Black Country Communion, The Dead Daisies e le più recenti collaborazioni con
Robbie Williams (!) e i Satch Vai (ovvero
Joe Satriani e
Steve Vai), rappresentano la migliore testimonianza di un’esuberanza espressiva invidiabile, supportata da una altrettanto ammirabile integrità vocale.
Tutti attributi che ritroviamo anche in questo “
Chosen”, che segna, a nove anni dal precedente “
Resonate”, il ritorno di
Glenn alla carriera solista e che, come anticipato, ci riconsegna un artista virtuoso, esperto e smaliziato, alle prese con la sua “confort zone” (un misto di
hard-rock e
soul n’ blues, per la cronaca …), gestita con un anelito di “contemporaneità” in grado di evitare eccessi di formalismo.
Non è difficile, infatti, immaginare le adescanti “
My alibi” e “
Heal”, i chiaroscuri (Soundgarden-
iani) di “
In the golden”, la possanza di “
The lost parade”, o ancora l’affabile “
Into the fade” e l’avvolgente
title-track dell’opera, felicemente inserite in programmazioni radiofoniche dedicate ai campioni del
rock duro contemporaneo, assieme ad Alter Bridge, Foo Fighters, Black Stone Cherry e Shinedown.
Che dire poi di “
Voice in my head” con il suo
groove heavy-funk e la melodia contagiosa, se non che è un brano in grado di mettere d’accordo i
fans di
Lenny Kravitz, RHCP e Audioslave, sottolineando così il carattere transgenerazionale della musica di un autentico maestro del genere?
Negare tale evidenza è abbastanza “complicato”, e anche laddove affiora un pizzico di maggiore “convenzionalità”, vedasi le pulsazioni
hard-blues di "
Hot damn thing”, le scosse
funky di "
Black cat moan” o l’afflato
sixties di “
Come and go”, siamo sempre di fronte a materiale sonoro di alta classe, pilotato dalla forza interpretativa di chi anche nel 2025 non vede sminuito l’appellativo di
The Voice of Rock assegnatogli già “qualche” tempo fa.
Conservare una precisa identità artistica, forti di un passato glorioso e impegnativo e di un presente dinamico ed arguto, non è impresa da sottovalutare … quindi, non fatelo con
Glenn Hughes e il suo “
Chosen”.
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