Sono passati ventitré anni da “
Wonder what's next”,
album (il secondo della loro discografia) con cui ho conosciuto i
Chevelle e continua il mio rapporto “controverso” con il gruppo dei fratelli
Loeffler.
Allora si trattava di una realtà emersa all’interno della prospera (tanto da incidere per la Epic Records) scena
nu / alternative metal, ma anche oggi che i tempi sono cambiati e questo “
Bright as blasphemy” esce senza il supporto di una
major la situazione non è variata.
Intendiamoci, siamo di fronte ad un gruppo di valore, che gli estimatori di Staind, Tool e Deftones non possono trascurare, eppure a differenza dei suddetti, per quanto mi riguarda, nei confronti dei nostri non è mai scattata la “scintilla” del pieno consenso.
Non è facile “spiegare” i motivi di tale dissidio, anche perché le interpretazioni di
Pete Loeffler sono adeguatamente sofferte ed empatiche e il
songbook dei
Chevelle si mantiene su livelli apprezzabili, alternando sapientemente, come da copione del genere, melodia e rabbia.
Diciamo allora che in questa specifica formula sonora rilevo, oggi come ieri, un pizzico di manierismo, di quello che impedisce all’ascolto di trasformarsi in un’esperienza emotiva “totalizzante”.
Se ai tempi “d’oro” del settore si poteva imputare la questione ad una forma di “scaltro” allineamento al
mainstream, in un momento storico in cui certi suoni non sono più al centro dell’attenzione (ma stanno tornando in auge già da un po’ …), temo di non potere fornire al lettore una maggiormente tangibile e concreta motivazione.
Ciò detto, passiamo a segnalare i momenti dell’opera maggiormente efficaci, a cominciare dalle due parti dei “
Cowards” (“
Rabbit” e “
Jim Jones”) intriganti per dinamismo armonico e consona carica emozionale, per proseguire con l’introspettiva “
Hallucinations” (davvero intensa) e approdare allo psicodramma semi-acustico (vagamente Floyd-
iano) “
Blood out in the fields” e alle ritmiche pulsanti e alla melodia adescante di “
Al phobias”.
In rappresentanza di una modalità espressiva tanto collaudata quanto ben gestita, infine, una menzione se la meritano pure “
Wolves (Love & light)” e “
Karma goddess”, caratterizzate da
groove densi e metallici di sicura presa.
In conclusione, non posso che accogliere il nuovo albo dei
Chevelle con una certa soddisfazione, evidenziando ancora una volta le buone qualità artistiche di una
band che, tuttavia, neanche nella “maturità” sembra essere in grado di manifestare pienamente le sue notevoli potenzialità.
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