Suonano di supporto a
Marilyn Manson e in compagnia dei Cradle of Filth,
coverizzano Rammstein e Type O Negative e sono guidati da una cantante che nella sua laringe ospita l’efferata schizofrenia di
Jonathan Davis, la morbosità di
Brian Hugh Warner e le capacità seduttive di
Shirley Manson … comunque la pensiate sulla loro musica, non si potrà certo affermare che gli americani
Black Satellite siano un gruppo con dei “pregiudizi” o frenato da barriere settarie.
E tale suggestione in realtà poi si riflette nelle loro scelte espressive, come ben si evince dal questo secondo albo intitolato “
Aftermath”, in cui il
nu-metal (ivi comprese le sue devianze
industrial) si combina piuttosto felicemente con l’
alternative più “radiofonico”, aggiungendo, a tratti, all’impasto sonico pure un tenue velo di
gothic-metal.
Insomma, un bel
mélange di suoni e di stili, magari non propriamente “rivoluzionario”, eppure proposto con un’urgenza e una vigoria espressiva tali da rendere il risultato finale un’appagante “rivelazione” per un pubblico ampio e variegato, sia in fatto di dati anagrafici e sia in fatto di gusti musicali.
Poter contare sull’ugola flessibile, carismatica e inquieta di
Larissa Vale rende ovviamente ancor più efficace un
patchwork sonoro in cui le melodie e un diffuso
feeling caliginoso sono importanti quanto la rabbiosa e psicotica catarsi che la
band rovescia sull’astante fin dall’
opener “
Broken”, un incisivo
reminder della migliore arte Korn-
iana.
La strisciante “
Disengaged” e “
Don’t remind me” proseguono su medesimi registri, evidenziando il lato più affabile e inquietante di una formula che in “
Downfall” riprende a scorticare i sensi, tra pulsazioni industriali, grevi distorsioni metalliche e un
refrain vischioso.
“
Here it ends”, “
Kill for you”, “
Void”, “
Hurt” (con le loro vaghe sfumature di retaggio
grunge) e le suggestive elegie
electro-dark della
title-track rivelano le doti dei
Black Satellite nel saper gestire con apprezzabile acume il versante maggiormente
mainstream della questione e se “
Bleed for me” e “
Decay” appaiono i brani meno incisivi della raccolta, “
Far away” e “
Imperfectly you” intrigano l’astante con un
mix di angoscia e liquide trasparenze soniche, le scansioni marziali e
anthemiche di “
Doom or die” sono perfette per attrarre i
fans del
Reverendo e “
Dead eye” sigilla, tramite tumultuose dissonanze, un
album in cui sono evidenti le qualità artistiche di un “emergente” di valore e prospettiva, che appare impegnato in un’intrigante percorso di “crescita” … “
Aftermath” lascia, dunque, favorevolmente impressionati, persuasi che si saprà far notare anche in un mercato discografico congestionato come quello attuale.
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