Con la proliferazione dei cosiddetti
supergruppi, orientarsi è diventato piuttosto difficile, e, anzi si può “quasi” affermare che il fascino nei confronti di queste coalizioni di
musici eccellenti si è pressoché dissolto, se non addirittura trasformato in insofferenza.
“Quasi”, perché, nel mio caso, quando sono coinvolti
Simon Phillips (Toto,
Jeff Beck, The Who, Judas Priest, Tears for Fears, …) e
Greg Howe (
Michael Jackson, Protocol,
Justin Timberlake, …), due dei miei tanti “eroi personali”, la questione cambia abbastanza radicalmente, alimentando curiosità e aspettative.
Aggiungiamo altre personalità di spicco del
rockrama internazionale quali
Matt Bissonette (
David Lee Roth,
Joe Satriani,
Ringo Starr,
Elton John, ...),
Derek Sherinian (Dream Theater, Sons of Apollo, Black Country Communion) e
Mohini Dey (
Steve Vai,
Willow Smith,
Guthrie Govan) ed ecco che i
DarWin, dal nome dell’ideatore (assieme a
Phillips) del progetto, diventano fatalmente una plausibile fonte a cui attingere per alimentare il proprio vorace godimento
cardio-uditivo.
Soddisfazione che “
The distorted mirror” procura in forma alquanto copiosa a chi ama i suoni sofisticati e levigati del
prog-pop e della
fusion, in cui il virtuosismo, ben presente ma senza eccessive pedanterie, si amalgama abbastanza felicemente con le velleità emotive delle architetture sonore.
A livello di possibili riferimenti da suggerire al lettore, citerei Yes (quelli più “commerciali”), Toto, Ambrosia e Asia, declinati all’interno di un calderone in cui si alternano momenti più energici e situazioni affabili e vellutate, pilotate in entrambe le circostanze da musicisti dalla spiccata sensibilità, tecnicamente superiori e non per questo vanagloriosi.
Ascoltateli nell’avvolgente e virtuosistico strumentale posto ad apertura dell’opera, “
Rising distortion”, e non potrete che condividere l’ultima affermazione riportata, ancor più pertinente quando il brano sfocia nell’accessibilità “erudita” e vigorosa della
title-track, su cui s'inserisce
ad hoc la voce felpata di
Matt Bissonette.
“
Man vs. machine” prosegue sulle medesime traiettorie espressive, incrementando la componente adescante, restituendo in maniera davvero equilibrata la dualità emozione / tecnica, mentre “
33rd century man” esplora il versante più “ibrido” del genere, in cui far convivere
prog,
pop,
world-music e
soul.
Con “
Cry a river” torna ad affacciarsi la vigoria intrisa di una forma fluttuante di “presa rapida”, e se la carezzevole “
Glow” si rivolge principalmente ai
fans della
pop - fusion, “
Loophole” (con la partecipazione di
Andrew Freeman di fama Lynch Mob, Last in Line, …) è un altro ottimo esempio di
rock “evoluto”, alla maniera dei mastri Toto.
Lo
slow atmosferico e sognante “
Winter far”, con il suo finale in crescendo, è l’epilogo di un
album che potrebbe essere gradito da un’ampia ed eterogenea platea di
rockofili, di quelli che apprezzano la “buona musica” suonata da gente per cui
feeling, creatività ed empatia hanno la stessa importanza dell'invidiabile perizia con cui maneggiano i loro strumenti.