Secondo capitolo per i danesi
Lightchapter che tornano a distanza di due anni dal debutto "Time to Obey". Un ritorno felice dato che con "Where All Hope Begins" scelgono una traiettoria personale all’interno del panorama melodic death metal. Infatti se il primo lavoro mescolava death metal melodico e suggestioni nu metal con risultati altalenanti, "Where All Hope Begins" rappresenta un passo avanti in termini di identità e coerenza stilistica.
Ma attenzione, qui la melodia non è quella classica, infusa nei riff o nei chorus catchy. È una presenza più sottile, quasi ambientale, affidata a synth di chiara matrice cinematica che avvolgono il disco in un’atmosfera inquietante e sinistra.
Il risultato è un lavoro che si muove su ritmi cadenzati, talvolta al limite dello sludge groove, con una tensione costante che non esplode mai del tutto ma serpeggia sotto pelle. Alcuni passaggi con blastbeat o con bpm elevati risultano ancora un po’ grezzi e da affinare ma nel complesso il disco regge bene e si lascia ascoltare con interesse. Non un capolavoro ma un album solido che dimostra una volontà di uscire dai binari più battuti del genere.
La produzione di
Tue Madsen è, come sempre, una garanzia: le chitarre sono “ciccione” al punto giusto, il mix è bilanciato e valorizza sia la componente ritmica che quella atmosferica. Non abbiamo avuto modo di leggere i testi ma il concept che c'è alle spalle sembra voler esplorare il confine tra disperazione e speranza, dolore e rinascita—temi che si riflettono bene nel mood generale del disco, ben rappresentati dalla doppietta centrale "
Home" / "
Restore My Faith in Sanity", non solo una summa del sound dei Lightchapter ma anche la giusta direzione da intraprendere.
Una ventata di novità gradita, soprattutto per chi è in cerca di un death metal melodico che non si affidi ai soliti cliché. Da risentire, magari in cuffia, per cogliere tutte le sfumature.
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