Se si dovesse stilare una ideale classifica dei migliori chitarristi heavy metal di certo Mr. Zakk Wylde non potrebbe mancare: Il biondocrinito axeman, scoperto da Ozzy ai tempi del capolavoro "No Rest For The Wicked", ha sicuramente fornito una consistente fonte d'ispirazione per numerosi chitarristi, affascinati soprattutto dal suo particolarissimo uso degli armonici artificiali (i cosiddetti "fischi"). Archiviato il progetto Pride And Glory, quindi, Zakk si è gettato sui Black Label Society, band fautrice di un pesantissimo metal influenzato dal doom e da alcune tendenze maggiormente moderne, allo stato attuale privi di una formazione ben definita e recentemente tornati sulle scene con "1919*Eternal" (primo lavoro di Zakk ad essere pubblicato per Spittfire, un etichetta che sembra non voler porre limiti alla propria ascensione), disco che sembra avere come concept l’affetto provato dal frontman nei confronti del padre. Anche in questo caso il sound, arricchito da una produzione monolitica, è oltremodo pesante e spesso viaggia su ritmi molto lenti, forti di riff pastosi che palesemente richiamano sia ai Balck Sabbath dei tempi d’oro che al metal americano fiorito negli ultimi anni (addirittura è possibile udire alcuni richiami ai Fear Factory). La voce di Zakk, roca e virile, risulta incisiva anche se estremamente particolare, e la presenza su “1919*Eternal” di ospiti del calibro di Robert Trujillo (ex Ozzy, Suicidal Tendencies ed Infectious Groove), al basso in alcune tracce, non fa altro che rendere questo lavoro ulteriormente pregevole. Purtroppo 60 minuti sono molti e non bastano un paio di buone idee ed un’eccelsa perizia strumentale per colmare i vuoti compositivi derivati soprattutto dalla decisione del leader di rimanete da solo e di occuparsi in maniera totale del songwriting. Qualche episodio sbagliato, quindi, ed una netta flessione verso il basso della curva dell’interesse soprattutto in conclusione del disco, un vero peccato considerato il coinvolgimento ed il valore di alcuni brani: eccellenti in questo senso le due piéce strumentali “Speedball” e “America The Beautiful” che vedono il leader anche in veste di eccellente chitarrista acustico. Dispiace, quindi, che alcuni episodi riescano rovinare un lavoro tutto sommato ben fatto ed ottimamente suonato, un disco sicuramente non immediato e per certi versi trascurabile, ma ricco anche di ottime idee ed di canzoni granitiche. Dateci un ascolto se vi capita, probabilmente non ne rimarrete delusi.
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