Non è stato semplice scegliere l'album più rappresentativo degli
Stormwitch, visto l'alto livello qualitativo delle loro realizzazioni. Purtroppo allora i loro album non ricevettero le dovute attenzioni, ed è un peccato vedere che si è tornati a parlare degli Stormwitch solo dopo che gli Hammerfall hanno coverizzato "Ravenlord". Non sono stati i soli, anche gli italiani White Skull hanno ripreso un loro brano, la splendida "Tears by the Firelight". Questi due brani sono estratti rispettivamente da "Stronger than Heaven" e "The Beauty and the Beast", ed è proprio con questi due album che la scelta si fa difficile. Grazie alla mia risolutezza e professionalità, supero questo scoglio e decido di... di recensirli entrambi! Andiamo in ordine cronologico, e tocca quindi a "Stronger than Heaven". Con quest'album gli Stormwitch danno una svolta al loro stile, a partire dall'immagine del gruppo stesso. Abbandonano, infatti "chains and leather" a favore d'abiti in stile diciottesimo secolo e danno anche una rinfrescata al loro sound, distaccandosi dal metal d'ispirazione acceptiana, alla base dell'allora emergente Power Metal. Dopo tuoni ed invocazioni "magiche" si parte dalla speedy "Rats in the Attic", e si fa subito notare la bella voce di Andy Aldrian. Siparietto centrale con spazio per tutti i musicisti, peccato per la produzione che impasta un po' i suoni, bravissimo il drummer Pete Lancer. Con la successiva "Eternia" si nota un feeling romantico che ben si fonde con il metal indiscutibilmente teutonico del gruppo, e ben si adattano le tematiche affrontate dai testi, che prendono ispirazioni da racconti horror. L'ambiziosa "Jonathan´s Diary" mostra delle ricercate e soluzioni ritmiche, quasi una mini suite, ancora ben interpretata da Andy, e con i due chitarristi Steve Merchant e Lee Tarot (la vera mente del gruppo) impegnati in un bel duello alle soliste, un brano lungo e strutturato che precede uno dei miei pezzi preferiti: "Slave to Moonlight". Chitarre ed ululati in apertura (ed in chiusura), e con un bellissimo refrain, gli Stormwitch toccano il tema, strabusato, del lupo mannaro. La title track, posta in apertura della seconda facciata, è forse il brano meno riuscito dell'album, le danze sono condotte dal bassista Ronny Pearson e da Pete Langer, ma manca quella "scintilla" necessaria per emergere, probabilmente solo un po' troppo ripetitivo. Tocca quindi alla famosa "Ravenlord", secondo me nettamente superiore alla cover degli Hammerfall (se non fosse per la produzione), che non sono riusciti a ricreare il feeling dell'originale, evidente nell'azzeccatissimo ritornello "... Ravenlords, takes you far away...". "Allies of the Dark" raddoppia, il più bel brano dell'album, un testo "dark" che ancora oggi mi affascina e ben suonato e, sopratutto, cantato alla grande. Inizia in modo grintoso, ed anche se poi irrompono le melodie delle chitarre si viaggia sempre sostenuti. Chiude lo strumentale, o meglio come lo definì allora il gruppo, instru-METAL, "Dorian Gray", che evidenzia le doti di songwriting ed esecutive dei cinque tedeschi. Le chitarre, acustiche nella prima parte ed elettriche poi, plasmano un brano che, sebbene ricordi certi momenti dei Maiden, rimane uno dei migliori episodi degli Stormwitch.
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