Decisamente una delle formazioni di classic doom più rappresentative degli anni 90, i texani Solitude Aeturnus danno alla luce nel 1994 il presente Through The Darkest Hour, un affascinante capitolo caratterizzato dalle ipnotiche ed introspettive composizioni che in esso si trovano, nelle quali la grandezza di questa band raggiunge uno dei momenti più fulgidi, grazie in particolare al cantato straordinario di Robert Lowe, vera punta di diamante di questa formazione.
Diverse le emozioni e le atmosfere che si respirano da una traccia all’altra, dagli inizi rockeggianti di “Falling” si passa gradatamente alle ambientazioni più oscure rappresentate in maniera egregia dalla coppia “The 8th Day: Mourning” e “The 9th Day: Awakening”, incentrate su melodie maggiormente oppressive alternate ad inaspettate aperture, come quella “arabeggiante” della seconda delle due tracce, che fanno di questa coppia uno dei momenti più esaltanti dell’intero album. Gli stessi standard si mantengono anche nelle tracce a seguire, in “Pain” e “Pawns Of Anger” dove prosegue l’alternarsi di differenti scenari, ora acustici ora marcatamente melodici, su una solida base costruita dalle corpose ritmiche di chitarra e arricchite da gustosi break solistici.
Sempre in primo piano l’ottimo lavoro di Lowe, quanto mai ispirato nel ruolo di profeta di una musica emotiva, lenta e a tratti ossessiva, in particolare nella lunga e decadente “Eternal (Dreams pt. 2), dove il verbo del doom più visionario torna prepotentemente a farsi sentire.
“Perfect Insanity” rappresenta un risveglio verso sonorità in parte più accese e decisamente meno convenzionali rispetto alle tracce precedenti, dalla voce effettata di Lowe, alla struttura affatto intuitiva nella quale trova il suo spazio anche un richiamo ai padrini Black Sabbath nella parte centrale, per poi ricadere nella pesantezza sonora che caratterizza i Solitude Aeturnus.
L’intrecciarsi quasi litanico delle linee vocali trascina la mente attraverso l’emozionante esplorazione di Through The Darkest Hour, il quale va a chiudersi con l’episodio di maggior durata dell’intero lavoro, “Shattered My Spirit”. Semi ballad dal gusto nostalgico e malinconico, dall’incipit arpeggiato, il brano alterna parti distese a più decise riprese distorte e aggressive fino all’uscita visionaria di nuovo guidata dall’arpeggio di chitarra verso la chiusura del brano e dell’intero album. Uno spaccato esemplare dell’opera musicale dei Solitude Aeturnus, una delle poche band ancora oggi a capo della scena più genuina del doom metal.
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