A distanza di un paio d'anni dal precedente "Aradia", gli
Stygian Fair si ripresentano con il nuovo "
Hidden Realm", toccando così la quota di cinque full length, proponendo il loro eclettico Heavy Metal che, come scopriremo, si conferma alquanto variegato, ricco di sfumature e dove ritroviamo alla voce e alle chitarre
Andreas Stoltz (Hollow ed ex Binary Creed) al suo secondo album con gli
Stygian Fair, anche se in realtà aveva militato nella band ai suoi albori.
Si parte con la sostenuta "
The Hidden Realm" per poi passare all'articolare e teatrale direi (direi un po' nello stile di Bruce Dickinson) "
Abide Your Master" e devo riconoscere alla formazione svedese di sapersela cavare alla grande in entrambe le circostanze e se da
Andreas Stoltz c'era da aspettarselo, va sottolineato come i suoi compagni di viaggio si rivelino all'altezza rendendosi autori di una prova di spessore sia sul piano qualitativo sia per l'intensità messa in campo, soprattutto da parte dell'altro chitarrista,
Emil Holmqvist, sempre ben supportato dal duo ritmico:
Anders Hedman al basso e
Per-Olov Jonsson dietro il drum kit.
Più strisciante e sinuosa la seguente "
Into the Well", con la voce
Stoltz che continua a ricordarmi quella appassionata ma anche stentorea di Andy Mück, ma qui non c'è alcuna traccia degli Stormwitch, piuttosto siamo alle prese con un brano che sconfina spesso e volentieri verso atmosfere doomeggianti e più che altro con qualcosa dei Candlemass. Si ritorna ad episodi maggiormente vivaci, ma sempre ricchi di melodie, come "
Peel the Layers Off", "
Dawn" e soprattutto "
Meteor" che si alternano alla metallica (tra Judas Priest e Fates Warning) "
What You're Fighting for", alla ballad introspettiva "
All of Us" e alla hardeggiante "
Anthem of the Lost", episodi che comunque nel loro trascorrere queto e compassato non si fanno mancare qualche scatto d'energia.
E in chiusura troviamo quelli che forse sono i momenti più riusciti dell'album, la darkeggiante e drammatica "
Rise from the Shadows" e il Progressive Metal teatrale di quella "
Ferwor of Fools" che si dipana tra un refrain accattivante e riff thrasheggianti, con un andamento che rimanda un po' a "
Rhymes of Lunacy", album d'esordio dei Memento Mori, ma soprattutto andando a chiudere l'album tenendo alta l'attenzione dell'ascoltatore.
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