Parlare ora di un disco uscito due mesi fa può, nei tempi frenetici del commercio discografico, sembrarvi inutile informazione.
A parte i doverosi ringraziamenti alla Columbia per averci dato la possibilità di ascoltarlo dopo tanto tempo facendomelo comprare in preda a raptus, sarebbe stato comunque ingiusto, una volta entrato nelle nostre mani, tralasciarlo, soprattutto perché molti di voi non se ne saranno curati bollandolo come l’ennesimo disco nu-metal.
Aver liquidato i System Of A Down ed il loro nuovo “Toxicity” in questo modo è stato quantomeno affrettato. La predisposizione naturale al crossover fa parte del dna del gruppo e non potrebbe essere altrimenti con un cantante eclettico e pazzoide come Sery Tankian, vero deus ex-machina con una voce in grado di imprimere tracce incancellabili nel suono.
Ma i System Of A Down non sono solo questo, anzi, e “Toxicity” ci parla di una formazione che, dopo la scomparsa prematura dei Rage Against The Machine, è divenuta portabandiera del rock politico in America grazie a un suono mai sentito e testi profondi, fatti di suggestioni che spingono alla riflessione e meditazione sul mondo senza cercare la facile retorica.
“Toxicity” è un disco assolutamente heavy, le chitarre sono modulate su riffs thrash che in certi casi ricordano gli Anthrax ed in generale le sonorità più rotonde degli anni ’90: “Prison song”, “Science”, “Deer dance” “X”, ogni nota è un tassello di un mosaico unico fatto di accenni a melodie orientali e urla terribili, ritmiche degne dei migliori Slayer e melodie meno schizofreniche rispetto ai pezzi del passato e più funzionali alle canzoni.
Un disco forse meno eclettico del precedente ma sicuramente più equilibrato, che si lascia godere dall’inizio alla fine e che non manca di momenti esaltanti come il singolo “Chop Suei!” e “Forest”: quest’ultima canzone sembra un inno all’amore scritto in forma di annunciazione apocalittica per quanto è evocativa, non credo che qualcuno sia mai stato in grado di esprimere eros e thanatos in forme musicali estreme con tanta poesia senza paesaggi gotici e vestiti merlettati.
Talmente ricco da non essere condensabile in parole si potrebbe dire che “Toxicity” assuma forme musicali mutevoli ad ogni ascolto non tradendo mai il rigore ideale in cui stato plasmato dal gruppo con l’aiuto di Andy Wallace alla consolle.
L’unica cosa che vi invito a fare e di renderlo vostro ed assaporarlo, potreste davvero scoprire il gruppo definitivo per il nuovo millennio.
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