Rieccoci a parlare dei Pegazus che, dopo uno stop forzato dovuto al divorzio tra la band e il singer Danni Cecati ( divorzio che definire poco amichevole è un eufemismo !!), giungono al loro terzo album per la Nuclear Blast, quarto in realtà se si considera l’omonimo autoprodotto del 95 con Justin Flemming alla voce. Mettiamo subito in chiaro una cosa : reputo la politica sensazionalistica della Nuclear Blast e di altre etichette in generale davvero fuori luogo; gli appellativi pomposi che affibiano alle bands come “Mighty Warriors” ecc. ecc. ”Metal Crusaders” per gli Hammerfall o “Australian Kings Of Metal” per i Pegazus rischiano di sortire l’effetto opposto a quello desiderato (certe cose se le possono permettere solo i Manowar, per intenderci). Tutta questa premessa per arrivare a cosa ? Ad una difesa a spada tratta della band australiana troppe volte schernita gratuitamente soprattutto da alcune riviste del settore, forse proprio a causa di questa immagine attribuitagli. Se si considera solamente la musica e si lasciano da parte queste sciocchezze, ritengo gli album dei Pegazus sino ad ora dati alle stampe sicuramente interessanti. Forse la pecca più grande è la mancanza di una marcata personalità e, ad essere sincero, reputavo la voce di Danni Cecati una delle poche vere peculiarità della band; la sua dipartita è stata sicuramente un brutto colpo per Johnny e soci, ma da quanto sento dalle tracce di questo nuovo cd, i Pegazus hanno trovato un degno sostituto in Rob Thompson, che possiede tutte le qualità di un ottimo heavy metal singer.
Dopo un intro d’atmosfera arriva la title track, uno dei brani più riusciti dell’album, metallo classico che più classico non si può, riff grintoso, voce calda il tutto in un contesto molto melodico.
La seguente “Nightstalker” non può non ricordare i Priest, e qui ci starebbe a pennello la definizione di “metal da manuale” per i Pegazus; in particolare ascoltando il lavoro di chitarra di Johnny Stoj ci si rende conto della sua formazione iper-classica: riff, giri, passaggi, assoli, tutto è come dovrebbe essere in un album heavy metal; l’altra faccia della medaglia è che, già dai primi secondi di una canzone, si è portati ad individuare le fonti di tali influenze, ovvero: questo è Priest, questo è Maiden, questo è Sabbath, questo è Manowar. “A Call To Arms” per quanto semplice e scontata è una canzone anthemica ed epica, “The Patriot” e “Look To The Stars” iniziano pari pari a due canzoni degli Iron…. vi invito a indovinare quali. Forse un errore grossolano è stato quello di inserire “Dragon Slayer” subito dopo una song che ha praticamente la stessa ritmica, si ha quasi l’idea che ricominci la canzone precedente; per il resto c’è la breve power ballad “Spread Your Wings” (prima o poi un gruppo che si chiama Pegazus doveva intitolare un pezzo così !) che introduce “Forever Chasing Raimbow”, forse la canzone più Pegazus dell’intero lavoro. Praticamente un tributo ai Priest più d’annata l’inizio di “Neon Angel”, ma la vera chicca è la conclusiva “Ballad Of A Thin Man”, canzone più rock delle altre e tributo a Phil Lynott dei Thin Lizzy (il testo è pieno di riferimenti e citazione del suddetto gruppo), dove alla voce c’è lo stesso chitarrista e leader Johnny Stoj; un brano pieno di feeling con un ritornello davvero accattivante che varrebbe da solo l’acquisto dell’intero album. Quella in mio possesso è una scarna versione promo, però il cd che troverete nei negozi è corredato da un corposo booklet di circa venti pagine con una illustrazione per ogni brano. Penso proprio che questo disco piacerà a molti amanti delle sonorità più classiche, d’altronde in un periodo in cui i Priest non fanno più dischi alla Priest, i Black Sabbath non fanno più dischi….. chi è affamato di novità dal sound retrò qualcosa dovrà pure comprare.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?