Il buon Jack Frost, dopo il duro lavoro con i suoi Seven Witches, torna alla carica con un secondo progetto, ossia questo "Raise Your Fist To Metal", disco solista che prende spunto da tutto il background del biondo axeman statunitense: musicalmente parlando infatti sono palesi le influenze di band come Priest, Savatage o Metalium (tanto per citare tre nomi banali), a cui Jack paga tributo in ben più di una occasione. Particolarità interessante di questo album è la mancanza di una line-up definibile come tale: Frost infatti si avvale della collaborazione di numerosissimi artisti incontrati durante la sua lunga (e, ahimè, sfortunata) carriera: si va da Gonzo Sandoval e Joey Vera degli Armored Saint a Mike Duda (W.A.S.P.); da Rob Rock a Mike LePond dei Symphony X, passando per molti altri artisti che contribuiscono a caratterizzare ogni singolo tassello di questo album. Il disco si apre in maniera promettente con "Stay", pezzo dotato di un inizio coinvolgente e trascinante; si tratta però di un fuoco di paglia, perchè ben presto la song (seguita purtroppo da buona parte del disco) naufraga nel mare tempestoso della monotonia; e, ahimè, è proprio questo il difetto fatale a "Raise Your Fist To Metal": pur essendo dotato di composizioni gradevoli e orecchiabili, la banalità delle stesse le rende spesso fastidiosamente noiose, monocordi e assolutamente incapaci di trasmettere qualcosa all'ascoltatore di turno; Non fraindendetemi però: qualcosa di positivo c'è sicuramente: "Brotherhood Of Lies" è un buon pezzo; con un ottimo riffing e un ritornello potente e convincente, discorso analogo (anzi, meglio dire "stesso discorso", dato che i due pezzi sono praticamente la stessa cosa) per "Slow Burn". Anche "What I Say" si innalza sopra la media, con la struttura così particolare della strofa e del refrain, e con l'ottimo lavoro di Jack alla ritmica. Concludendo, "Raise Your Fist To Metal" è un album che a qualche luce affianca purtroppo più di un' ombra; un album sicuramente onesto e sincero, ma che pecca di mancaza di creatività in ben piu' di un'occasione; un album che, a differenza di quelli targati "Seven Witches" non viene salvato in corner dall' ugola divina di James Rivera.
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