Tragedia Metallica? Esagerati! Probabilmente non riceverà molte nomination nei consueti poll di fine anno, ma questo secondo lavoro dei Magic Kingdom non è sicuramente la catastrofe che il bizzarro titolo dell'album sembrerebbe indicare. “Metallic Tragedy” è invece un discreto disco di Power Metal sinfonico, veloce ed orecchiabile, fortemente condizionato dai dettami del maestro Yngwie Malmsteen, ripercorsi infaticabilmente dal chitarrista Dushan Petrossi nelle dieci canzoni del platter. Il sound dei Magic Kingdom si basa quasi interamente sulle acrobazie chitarristiche di Petrossi, ben assistito da Aymeric Ribot degli Headline nei duetti chitarra-tastiera tipici del genere. Uno dei punti di forza della formazione franco-russa è l'eccellente preparazione dal punto di vista strumentale, decisamente superiore alla media del settore, che compensa parzialmente la scarsa originalità delle composizioni. La performance del cantante Max Leclerq è discreta, e l'album vede anche la partecipazione del neo-singer degli Empty Tremor Oliver Hartmann
(apprezzato in passato negli At Vance) che, oltre a cantare in due canzoni (“Flying Pyramids” e “Master of Madness”), ha registrato tutti i cori di “Metallic Tragedy”. Sono presenti numerose up-tempo, ricche di scale neoclassiche e chorus trascinanti (“Child of the Nile”, “The Iron Mask”, “Flying Pyramids”, “The Fight”), ma a colpire maggiormente sono due episodi piuttosto originali come l'angosciosa “Barabas” e la malinconica “Another Sun”, in cui la personalità dei Magic Kingdom riesce finalmente ad emergere. L'album
si chiude con la pregevole title-track, in cui l'intrecciarsi tra scream estremi, voci femminili e il cantato di Leclerq crea una mix convincente e sicuramente personale. “Metallic Tragedy” è quindi un disco normalmente perfetto, ma troppo derivativo per brillare di luce propria. Die-hard fans only!
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