Ci sono molti misteri nella storia, recente e non, degli Unleashed.
Misteri che emergono alla luce degli sconcertanti lavori con i quali la band svedese, capeggiata come sempre da quel lontano 1991 dal corpulento Johnny Hedlund, si è ripresentata sul mercato dopo anni di silenzio. Un silenzio anticipato dal pessimo “Warrior”, episodio che ha chiuso (male) la prima parte della loro carriera, e spezzato dal loro ritorno a titolo “Hell’s Unleashed”, probabilmente uno dei peggiori dischi death metal che io abbia potuto ascoltare nella mia vita.
Ad esempio, un mistero come la Century Media non li abbia scaricati da tempo.
Ho volutamente aspettato diversi, parecchi giorni prima di buttare giù questa recensione, per cercare di essere il più equilibrato possibile. Certo che non avrei esitato un momento ad eliminare velocemente con un bello “zero” in pagella un eventuale degno successore del precedente aborto…invece questa volta le cose sono andate meglio, e anche di parecchio.
E non solo perché fare peggio era praticamente impossibile.
Parliamoci chiaro, oggi gli Unleashed rappresentano davvero poco in campo death metal, anche a causa di loro stessi, dato che i primi tre lavori sono annoverati tutt’oggi a ragione tra i capisaldi del genere, tuttavia sono riusciti a dare alla luce finalmente un buon album. Nulla di trascendentale per carità, però è indubbio il piacere di poter riascoltare una band che, deo gratias, torna a suonare quello che sa fare meglio.
Ovvero, un sano, elementare, veloce e crudele death metal. Né più né meno.
E l’iniziale “Winterland” restituisce all’ascoltatore un brivido, probabilmente quel brivido assente dai tempi del glorioso “Shadows in the Deep”, autentico masterpiece del gruppo nordico che davvero sembra balzato indietro nel tempo di quindici anni, veloce e tagliente alla perfezione. Purtroppo il disco non si stabilizza su tale livello qualitativo, altrimenti sarei qui a gridare al miracolo, però è vero che alla luce di quanto proposto pochi mesi prima questo “Sworn Allegiance” prende davvero le sembianze di un miracolo. Alternando pezzi più lineari e cadenzati ad altri decisamente più speed e frenetici (“Destruction”, violenta ma un po’ banale, l’inutile noiosissima “Only the Dead”, la breve e furiosa “Attack”, richiamante alla mente la pazzia esplosiva di “Bloodbath”) gli Unleashed hanno saputo riaccendere una fiamma spenta da troppo tempo. Certo, non è il falò degli anni d’oro ma sicuramente meglio della completa oscurità.
Oltre all’altalenante songwriting da segnalare come nota negativa la voce di Johnny, migliorata rispetto alle ultime prove, ma davvero priva di spessore e nemmeno lontana parente di quella ammirata nel debutto del 1991 “Where No Life Dwells”, davvero positive invece la produzione e la prova della coppia chitarristica Follare/Olsson, finalmente a suo agio nel ricreare le malsane e malvagie ambientazioni che hanno da sempre caratterizzato il songwriting di Hedlund e compagni.
Bentornati Unleashed!
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