Gli italianissimi
Arthemis stanno ricevendo all'estero le attenzioni che meritano già da qualche tempo, da quando un anno fa "The Damned Ship" è stato realizzato nel Sol Levante dalla Avalon/Marquee. Il motivo di tanto successo è sicuramente legato al genere proposto dai 5 ragazzi, che fanno immediatamente venire in mente gli Helloween ed anche gli Stratovarius. Altro fattore che ha sicuramente avuto un peso nell'attirare i favori dei Metalhead nipponici (ma non solo!!) è stata sicuramente la voce di Alessio Garavello, veramente bravo, come dimostra ampiamente ad esempio su "Voice of the Gods". Con un vocalist di tale portata gli Arthemis non hanno difficoltà a reggere "scomodi" paragoni, ma non è corretto dare tutti i meriti solo ad Alessio. "The Damned Ship" è uno dei migliori album che ho ascoltato negli ultimi tempi, zeppo di belle canzoni, una produzione (ottenuta al New Sin Studio) perfetta: una bella dose di Power Speed Metal, potente e d'impatto. Subito ritmi veloci con "Quest for Immortality", brano che sembra pendere più sul versante Stratavarius, fino a quando non viene "resuscitato" Michael Kiske. Si bissa con "Voice of the Gods", e qui mi sembra giusto portare l'attenzione sul lavoro dei due chitarristi Andrea Martongelli e Matteo Ballottari, certo che è poi nuovamente il refrain a catalizzare l'attenzione! Non che il bassista ed il batterista (quest'ultimo ha però da poco abbandonato il gruppo) siano da meno, dato che non perdono un colpo, e visti i ritmi veloci dei brani non mi sembra cosa da poco. Si rallenta solo con il primo dei due strumentale presenti, "The Wait" che con un pianoforte ci introduce a "The Night of the Vampire", dove gli Arthemis mostrano di potersi distinguere con un sound più personale, ben articolando e strutturando il pezzo, che infine si chiude sulle note del piano dell'ospite Nicola Quaglia. Tocca quindi al secondo strumentale "Earthquake", con i chitarristi a cercare (ed ottenere!) gloria sul campo di battaglia del Metal neoclassico. Bravi, ma secondo me i due si superano sull'epica "Noble Sword", con un azzeccato riff iniziale e nei break solisti. Trova ancora spazio la titletrack, dove riaffiorano possibili accostamenti ad Helloween ed Edguy, qui sottolineati dalle melodie vocali dei cori e del refrain. Un brano che chiude egregiamente un ottimo disco!
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