Copertina 8

Info

Anno di uscita:2005
Durata:156 min.
Etichetta:SPV
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. VOODOO CHILE
  2. ... SOMETHING'S COMIN' OUR WAY (EXCERPT)
  3. HE'S CALLING
  4. RED HOUSE
  5. GUITAR PRELUDE TO A HERO
  6. ... STORIES OF A HERO
  7. POPPY
  8. ... SHE'S NOT THERE
  9. ... CROSSROADS
  10. ... SHE'S NOT THERE (RETURN)
  11. POPPY (RETURN)
  12. LET THERE BE ...
  13. ... STRANGE UNIVERSE
  14. ... ODE TO CREATION
  15. ... STRANGE UNIVERSE
  16. ROCK AND ROLL HALL OF FAME
  17. ... AIN'T DEAD YET (EXCERPT)
  18. ... SLIPPIN' AND SLIDIN'
  19. ... BACK TO THE HALL
  20. ... TWO 'N' FOUR (JUST JOSHIN')
  21. AVALON
  22. ... RUMBLE 'N' ROLL (FOR PETE'S SAKE)
  23. ... JAZZED A MOMENT
  24. ... TALES OF THE UNEXPECTED
  25. ... RETURN TO AVALON
  26. RATTLE OF SABRES
  27. ... ELECTRIC REFLECTIONS OF WAR
  28. ... AFTERMATH
  29. ... THE WORLD ANTHEM
  30. ... A PRAYER FOR PEACE
  31. SOMEWHERE OVER THE RAINBOW
  32. TRY FOR FREEDOM

Line up

  • Frank Marino: guitar, vocals
  • Peter Dowse: bass
  • Josh Trager: drums
  • Mick Layne: rhythm guitar

Voto medio utenti

Frank Marino è un musicista strepitoso la cui devozione per il superlativo Jimi Hendrix ha riservato parecchie soddisfazioni e suscitato curiosità, ma che ha poi anche finito per imprigionarlo in un cliché che lo vuole come una sorta d’assoluto emulo privo di una qualunque originalità.
La stessa sorte è toccata, in parte, anche ad altri grandi guitar heroes aventi lo stesso modello (Robin Trower, Uli John Roth, Randy California …), ma si può affermare che il nostro italo-canadese abbia, più di tutti gli altri, incarnato le difficoltà, le contraddizioni e anche il piacere di proporsi perseguendo apertamente le proprie fonti ispirative primarie.
Non che la leggenda (più o meno “promozionale”, oggi in ogni caso assolutamente sconfessata da Marino), che narra di un giovane Frank visitato dallo spirito di Hendrix (durante un ricovero in ospedale per una disintossicazione da LSD, ma ci fu anche chi parlò di un periodo di coma in seguito ad un incidente stradale), il quale lo elegge come suo “successore” e lo esorta a proseguire la sua opera musicale o che addirittura racconta del nostro come di una reincarnazione del mancino di Seattle, abbia aiutato ad allontanare le valutazioni spesso frettolose e i giudizi sferzanti che una parte della critica musicale non gli ha mai risparmiato, ma è altrettanto vero che un ascolto più attento dei suoi lavori migliori avrebbe dovuto rivelare agevolmente il talento di un artista che ha cercato (spesso riuscendoci), proprio come hanno fatto i migliori dei suoi “consimili”, d’interpretare il culto “hendrixiano” nella sua totalità, mutuando versatilità e voglia di sperimentare, facendo in modo che il rispettare i tracciati musicali generali del proprio maestro divenisse il trampolino da utilizzare per far emergere la propria creatività.
Dopo gli esordi fin troppo debitori dell’illustrissimo riferimento e i mitici (e anche un po’ naif) duelli chitarristici con Wayne Kramer, Mike Pinera e Ted Nugent, organizzati in modo che le vittorie fossero equamente distribuite (anche se Nugent non sempre ci stava a perdere), di grande richiamo spettacolare, a partire da “Strange Universe” del ’75 (pubblicato, come tutti i primi lavori fino a “Mahogany Rush IV” sotto la denominazione collettiva Mahogany Rush e impreziosito dalla splendida cover di derivazione “fantasy” psichedelica disegnata da Ivan Schwartz), si nota una certa crescita e il tentativo di svincolarsi dalle pastoie “dorate” del verbo proferito dal re del blues elettrico ed iniziano ad intravedersi anche gli influssi jazz che saranno in seguito meglio sviluppati.
Da questo momento in poi, infatti, le linee stilistiche diventano capaci di plasmare il codice Hendrix con una sensibilità propria fatta di hard rock, stille di prog, jazz-rock, r’n’b’, suggestioni psichedeliche e il culmine espressivo sarà raggiunto nel fenomenale “Live” del ’78, il quale cattura al meglio l’essenza del rock eseguito dal vivo. Da segnalare ancora il roccioso “What’s next” del 1980, “The power of rock’n’roll” dell’anno successivo e “Juggernaut” dell’82 (gli ultimi due usciti a nome del solo Marino).
Dopo un paio d’episodi dai risultati altalenanti, nel 2000 torna il Frank Marino che abbiamo amato, con un lavoro brillante intitolato “Eye of the storm”, dalla cui tournee è tratto questo nuovo “RealLIVE!”, catturato in una serata di grazia al Soda Club di Montreal.
Il disco è davvero molto bello e sembra quasi possibile visualizzare l’energia e l'ardore che vengono sprigionati dalla sua voce e dalle vibrazioni delle corde di quella magica Gibson SG, come se si stesse vivendo direttamente l’evento. Tecnica iperbolica pregna di sentimento, mai fine a se stessa e lontana dalle tipiche esibizioni egocentriche, intensità ed estro si mescolano in canzoni e lunghe jam sessions d’altissima qualità, alternando le consuete riletture dei “classici” storici ai brani propri, senza che siano apprezzabili differenze, a comporre un flusso di sensazioni e raffiche adrenaliniche pressochè ininterrotte.
Per questa ragione, non ha senso citare titoli in particolare, in un disco caratterizzato da quell’approccio “antico” nel quale i brani sono tutt’altro che semplici riproposizioni live di successi consolidati, ma si dilatano e trasformano in modo imprevedibile.
I musicisti che accompagnano Frank, pur non rubandogli la scena, sono molto più che semplici gregari, dimostrandosi sempre all’altezza della situazione sia in fase di supporto ritmico, sia in quella solistica.
Credetemi, c’è molta più forza in questi “solchi” che in parecchi cd di metal apparentemente ben più violento, molta più emozione che in tanti gruppi di emo-core da “classifica”.
Date una possibilità a questo “maturo” signore che può ancora impartire lezioni di feeling e passionalità, queste si, dottrine effettivamente “plagiate” dalla sua grande ed assolutamente inimitabile “guida spirituale”.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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