God bless Majestic Rock! L’etichetta inglese con la sua preziosa attività di ristampe e riscoperte di livello ha sicuramente contribuito a ridare il sonno a molti di quegli appassionati che l’avevano perso nella ricerca disperata di materiale appartenente a “classici” minori come i Tytan di Kevin Riddles, David Dufort e Kal Swann, i Big Bertha e i Bedlam di un giovane Cozy Powell o la Byron Band, tanto per fare qualche nome, senza dimenticare la possibilità di come-back offerta ai Waysted con “Back from the dead” o al grande John Sloman, con un disco affascinante come “Dark matter”. A parte qualche piccolo passo falso, la label ha sempre dimostrato, nelle sue scelte, una rilevante preparazione e competenza, consentendo ai fans del rock l’ascolto d’operine (ed artisti) spesso quasi dimenticati, meritevoli, viceversa, d’enorme considerazione vista la loro grandezza assolutamente degna di essere riportata in superficie.
Non sfugge a questa regola il ripescaggio dei dischi (oltre a questo sono disponibili anche il live “Open fire” e “Down for the count”) degli hard rockers de-luxe statunitensi Y&T (agli esordi Yesterday & Today), il cui nome ha ripreso a circolare anche grazie alla recente pubblicazione di raccolte d’inediti (“UnEarthed”), preludio, si spera, ad un loro ritorno sulle scene in forma completa.
E’ dalla metà degli anni settanta che la band capitanata dall’eccezionale singer e chitarrista Dave Meniketti, tra pause e piccoli cambiamenti di stile e line-up, accende i sensi dei fans dell’hard ‘n’ heavy più vibrante e viscerale, con un sound contemporaneamente così splendidamente attraversato dalla fondamentale componente blues e da sonorità più levigate.
Si tratta del classico caso di band di gran valore che sicuramente non ha raccolto quanto meritava, nonostante godesse della stima dei propri colleghi (R.J. Dio, per esempio, la volle nel progetto “Hear ‘n’ aid” accanto a nomi primari dello star system metallico) e che dimostra tutta la sua qualità in questo sesto album, originariamente edito nel 1984, uno dei loro dischi migliori. La copertina “futuristica” un po’ naif, riesce a stento a contenere la forza tipica del variegato hard made in U.S.A., che si libera grazie ad una formazione solidissima, con la voce ruvida e altamente interpretativa di Meniketti e le sue scorribande chitarristiche in compagnia dell’altro guitarist Joey Alves, impegnati a combattere per emergere sulla dirompente e corposa sezione ritmica orchestrata da Leonard Haze alla batteria e Philip Kennemore al basso.
Anthem hard, tracciati boogie, vocals bluesy, melodie raffinate, grandi cori ed un’intensa ballata, costituiscono i contenuti di questo dischetto, in cui è difficile operare delle discriminazioni o sforzarsi di individuare delle definizioni per le singole tracce, le quali inevitabilmente abuserebbero dei sinonimi e dei superlativi di “bello” (mi limiterò a menzionare l’incalzante “Masters and slaves”, un brano che “non può” non piacere, se amate questo tipo di suoni) e quindi poco indicative.
Il disco fu prodotto da un certo Tom Allom ed è inutile sottolineare l’eccellente lavoro che il producer di fiducia dei Priest seppe svolgere anche in questo caso.
Come fa un album di questa caratura e con un titolo emblematico come “In rock we trust” a mancare nella Vostra discografia? Se la non facile reperibilità poteva essere una parziale giustificazione, oggi la Majestic Rock ha eliminato tutte le possibili scuse … Per tutti quelli che, nonostante tutto, forse anacronisticamente, credono ancora (almeno per la durata di un cd) che il “Rock & roll’s gonna save the world”!!
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