Non sono mai stata una grande appassionata della musica cervellotica e pseudo-intellettualoide degli Einstürzende Neubauten, ma non posso negare che Alexander Hacke e compagni abbiano contribuito in maniera fondamentale allo sviluppo di un genere come l'industrial. Proprio quest'anno il gruppo festeggia i venticinque anni di carriera, e soltanto adesso Mr Hacke ha deciso di pubblicare il suo primo album solista. Per realizzarlo il musicista tedesco si è avvalso della collaborazione di numerosi artisti (tra i tanti vale la pena citare Gianna Nannini, con la quale aveva già suonato in passato, e poi David Yow dei Jesus Lizard, Algis Kizys degli Swans e Nils Wohlrabe dei Leather Nun), che lo hanno aiutato a dar vita a composizioni diverse l'una dall'altra, ma anche molto distanti dal materiale realizzato con la sua main band. Personalmente non ho una particolare predilezione per questo genere di dischi e ad essi preferisco lavori contraddistinti da una certa omogeneità di contenuti, ma devo dire che "Sanctuary" non è poi tanto male e che è senz'altro meritevole d'attenzione... Il pezzo iniziale, dal titolo "Minnie and me", non è uno dei migliori e tende ad annoiare perché caratterizzato da una cantilena senza senso abbinata a un sound sperimentale/minimalista, ma per fortuna le cose cambiano con il successivo "Sister", che invece ci propone atmosfere calde e suadenti vicine a certo post-rock. Andando avanti troviamo "Love me love my dog" e il suo trip-hop schizoide, subito seguito da "Sonntag", un brano che potrebbe essere adatto per la colonna sonora di qualche road movie americano. Le vere sorprese arrivano però con la lunghissima titletrack, una song "malata" e lisergica che si distacca da ciò che il cd ci ha presentato nei primi minuti, regalandoci un ottimo esempio di rock acido e delirante. È un vero peccato che l'album non sia tutto su questi livelli, e che dopo una canzone tanto apprezzabile arrivi "Yours truly", un intermezzo noise abbastanza inutile e scontato. Con "Seven" le cose vanno molto meglio (essa ha parecchie affinità con la titletrack...), mentre l'ottava traccia colpisce soprattutto perché è cantata da G. Nannini. In chiusura troviamo ancora altri pezzi che sono il risultato di un mix tra stili diversi, fatta eccezione per l'ultimo (intitolato "Brush/throat") che invece rimanda a sonorità etnico/ritualistiche. Insomma, questo disco sembra fatto apposta per stupire e disorientare l'ascoltatore, ma tutto sommato non si può negare che ci sia anche della buona musica al suo interno...
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