Col tempo si sarà capito che non amo particolarmente il rock rivestito di commercialità pop, quello laccato e pulitino, ruffiano e zuccheroso, che talvolta si maschera da finto-ribelle o da pseudo-stradaiolo ma con la pericolosità di un fucile a tappi, puntualmente studiato a tavolino per fare breccia anche tra coloro che non si sono mai interessati a questa musica e trovano insopportabilmente violenti finanche i Deep Purple.
Ciò però non implica il rifiutare ottusamente a priori qualsiasi prodotto del genere evitando di porvi la dovuta attenzione, anzi la vera sfida è trovare un giusto equilibrio di giudizio per un filone che non è tra i nostri preferiti.
Prendiamo ad esempio il caso dei finlandesi Bloodpit. Questo loro album d’esordio, uscito in patria da alcuni mesi, è volato al quarto posto della classifica di vendita nazionale, ne sono stati estratti ben tre singoli dei quali uno (“Out to find you”) è stato al primo posto della chart finnica ed è entrato nella Top100 Europea, ed ancora i loro video godono di passaggi continui sugli schermi televisivi raggiungendo anche l’enorme pubblico dei non specializzati amplificando il successo già ottenuto. In sostanza, perlomeno a livello locale, i Bloodpit hanno fatto un botto bello grosso e, tenendo conto che i finlandesi non sono sprovveduti in campo musicale, il loro lavoro non può essere dunque preso alla leggera.
In effetti è un disco ben fatto, curato, di una certa eleganza, leggero ma non impalpabile, ovviamente pieno di melodie orecchiabili e suadenti ma senza quell’atmosfera melensa che spesso rende questo stile piuttosto irritante. Certo l’ombra dei Guns n’Roses e magari dei Nirvana copre l’intero orizzonte delle canzoni, questi sono i modelli ai quali i giovani scandinavi si sono ispirati, anche nel look a metà tra il glamour ed il rocker vizioso, mettendo in pratica la loro lezione con l’aggiunta di massiccie dosi di attitudine pop, ma il risultato è comunque piacevole.
Un impatto che possiede il dinamismo del rock senza le sue eccessive asperità, melodie indovinate che fruttano una serie notevole di potenziali hit-single (io ad esempio avrei scelto “Bad echo”, ottimo hard velato di malinconia) e graziose ballate agrodolci tanto sensuali quanto memorizzabili e di facile consumo (“In a furnace, Platitude, For the time being”).
In sostanza i Bloodpit hanno scritto nient’altro che buone ed oneste canzoni pop-rock in grado di piacere a più gente possibile, riuscendo a fare centro.
Nell’ambito metal qualche integralista stroncherà l’album impietosamente, altri lo esalteranno per evidenziare il loro alto livello di apertura mentale, io mi limito a promuoverlo come lavoro discreto quale è, da ascoltare senza sforzi eccessivi. Disco che non passerà alla storia, ma farà arrivare un po’di soldini nelle tasche del quartetto, cosa che certamente non spiacerà loro.
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