Copertina 7

Info

Anno di uscita:2006
Durata:144 min.
Etichetta:Relapse
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. CHINESE WHISPERS
  2. ABSTRACTION
  3. UNFOCUSED
  4. ENHANCING ENIGMA
  5. DANCING TO LIFE
  6. BRUMAL – A VIEW FROM PLUTO
  7. LUNATION
  8. STAYING CONSCIOUS
  9. SHELL
  10. GARDEN OF EROTICISM
  11. JAR OF KINGDOM
  12. PAISLEY BIEURR
  13. EVE OF THE WAR
  14. BEYOND GENESIS
  15. YONI KUNDA
  16. PURPLE
  17. IMAGINATION FLOWER
  18. SPIRITECHNOLOGY
  19. SOUL RETURN
  20. ROAD TO UBAR
  21. FOUND
  22. CLOT
  23. WORLDS WITHIN WORLDS
  24. MY ANIMATED TRUTH
  25. CLOSED CHAPTER

Line up

  • Adam Agius: vocals, guitar, keyboards
  • Roy Torkington: guitar
  • John Bray: bass
  • Rodney Holder: drums

Voto medio utenti

In quest’ultimo periodo la Relapse ha dedicato molto spazio alle iniziative di ristampa ed alle antologie retrospettive, spaziando tra nomi di vario calibro e stili musicali di tipo completamente diverso.
Ecco ora una nuova raccolta che vede come protagonista gli Alchemist, formazione australiana nata nei primi anni ’90 che forse a causa dei contenuti particolari della sua proposta non ha ottenuto una popolarità diffusa ma è assai stimata all’interno di determinate nicchie di appassionati.
Il doppio cd “Embryonics” raccoglie la crema della produzione del gruppo durante il periodo ’90 – ’98, con estratti dagli albums “Jar of kingdom”(’93), “Lunasphere”(’95), “Spiritech”(’97) e “Eve of the war”(’98) per la notevole durata complessiva di due ore e mezza di musica.
Il corposo minutaggio è stato sfruttato in modo da offrire anche qualche stimolo d’interesse per chi già possiede tali lavori, infatti sono presenti alcuni stralci dai demo realizzati dal quartetto al principio della carriera. Una mezza dozzina di brani in versione leggermente differente da quella poi utilizzata per i lavori ufficiali, che potrebbero convincere all’acquisto i completisti della band.
Ben curata anche la confezione, con un libretto comprensivo di discografia del periodo, illustrazioni di copertine e locandine dei concerti, molte foto ed una scaletta dei pezzi ampiamente commentata dai vari componenti del gruppo.
Lo stile degli Alchemist è nato già con alcune caratteristiche originali e si è pienamente sviluppato e raffinato nel tempo in parallelo al crescere dell’esperienza dei musicisti. Gli australiani hanno diluito in modo sempre più accentuato la brutalità grind dalla quale sono partiti, mischiandola a sorprendenti arabeschi Floydiani, stravaganti orientalismi, gelidi elementi cibernetici, atmosfere di ampio respiro ed altre fantasiose soluzioni sperimentali. Si è così formato un sound all’insegna della contaminazione, non unico nel suo genere ma sicuramente poco prevedibile ed ancor meno scontato.
Non esiste certezza di ottenere buoni risultati mischiando stili musicali profondamente diversi, puntando sul fascino obliquo dei contrasti, anzi il rischio di realizzare soltanto un guazzabuglio sbilenco di temi tenuti insieme casualmente è molto alto. Agli Alchemist va riconosciuto il merito di aver fatto coesistere in maniera omogenea una vasta gamma di influenze realmente disparate e di essere riusciti a gestire in modo intelligente l’equilibrio tra gli schianti di violenza belluina ed i passaggi dilatati ai confini della psichedelia settantiana.
Un gruppo che non brilla per immediatezza, bensì per il coraggio di osare soluzioni anche ardite sfuggendo così al vicolo cieco del parossismo ritmico dell’extreme-metal.
I brani sono mediamente molto estesi e ricchi di intrecci, costruiti con interessanti intuizioni anche a livello concettuale. Valga come esempio la complessità di “Soul return” (da “Lunasphere”) che verte sull’idea della reincarnazione fisica e spirituale. Qui una prima sezione ultra-brutale rappresenta il trionfo della morte ed il distacco dell’anima dalla materia, mentre la seconda parte guidata da un’onirica slide guitar dipinge con toni liquidi l’atto di rinascita in un altro corpo.
Al di là delle convinzioni personali riguardo l’argomento, un legame lirico-musicale molto meno banale delle solite truculenze splatter o demoniache.
Citiamo ancora gli oltre nove minuti di “Chinese whispers” ( da“Spiritech”), uno dei cavalli di battaglia del gruppo, struttura davvero complessa dov’è possibile incontrare tanto i passaggi schizo-metal con gli impressionanti strilli psicotici di Adam Agius, quanto le morbide fasi lisergiche dal profumo medio-orientale, ed ancora abbellimenti elettronici e violente impennate tribalistiche, per un risultato di affascinante miscelanza la cui decifrazione richiede però forte impegno nell’ascolto.
Questo è il pregio ma anche il limite, comune a molte altre formazioni poco convenzionali, della produzione Alchemist. Inadatta per chi vuole musica semplice ed immediata, la band è fortemente consigliata a chi apprezza l’heavy alternativo. Se non conoscete ancora questo gruppo, la raccolta “Embryonics” è un buon riassunto di ciò che c’è da sapere su di loro.

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