Può un Cd passato abbastanza inosservato all’epoca della sua uscita “originale”, una volta ristampato con l’aggiunta di un secondo dischetto prettamente acustico (registrato a Barcellona), riuscire ad infiammare i sensi dei “vecchi” rockers? Se i protagonisti dell’opera in questione si chiamano Tyla e Spike, autentici e ispirati interpreti della tradizione rock ‘n’ roll britannica, dalle radici rhythm ‘n’ blues limpidissime, sporcatesi nelle rispettive bands d’appartenenza (Dogs D’Amour e Quireboys, se ci fosse bisogno di ricordarlo), in modo talvolta assolutamente entusiasmante, di sleaze e d’attitudine trashy, la risposta non può che essere affermativa.
“Fragrantly yours”, pubblicato dai nostri sotto la denominazione Hot Knives nel 1996, viene riproposto, infatti, in questa forma arricchita, che ci svela (o quantomeno, se parliamo di Tyla, ce ne offre un ripasso, ricordando, ad esempio, l’ottimo “A graveyard of empty bottles”, del suo gruppo “principale” o altre apprezzabili situazioni “unplugged” sviluppate “in proprio”) la maestria dei due “zingari” dello street rock anche in quella particolare materia dove si staccano le spine e sono le emozioni, forse quelle più vere, senza la protezione di uno “scudo elettrico”, a doversi esprimere.
Rolling Stones, Rod Stewart, Faces, Hanoi Rocks, le sonorità abituali della scena “stradaiola” e alcune suggestioni di derivazione country ‘n’ western, ma anche Janis Joplin (ascoltare per referenze l’incredibile calore emanato da “Know”) e un certo cantautorato statunitense “classico” (un nome per tutti, Bob Dylan), affiorano a turno nella vibrante musica contenuta in questi solchi e sia che si tratti di episodi intimisti e riflessivi (i più diffusi, in generale) o di situazioni maggiormente immediate, il platter ci riconsegna un bel pezzetto di “lirismo di strada”, fatto di dissoluzione, disillusione e sconfitta, di atmosfere acri impregnate d’odore di fumo, di sudore e di bourbon, confermando, ancora una volta, Tyla (autore della maggioranza delle canzoni), nel ruolo di poeta fervido e distorto, dotato di una capacità creativa genuinamente vissuta e iridescente, all’interno di queste specifiche coordinate soniche.
“Believe”, “Starbucks”, le irresistibili inquietudini crepuscolari di “Lost in a crowd of one” (grande titolo!), “Possessed”, “Cost of loving”, “King”, il tocco folk di “Villains price”, a Voi la scelta di quale può essere la Vostra canzone preferita, sicuri che lo spirito viscerale e “sporco” del rock non sarà comunque mai tradito.
Old-fashioned, poco originale, non imprescindibile magari, ma indubitabilmente molto emozionante e sincero, in un mondo musicale (e non solo in quello, a dire la verità) dove spesso ci vorrebbero far credere che è fondamentale “apparire” e molto meno importante “essere”.
Un lavoretto “piccolo”, che ha avuto una nuova possibilità di farsi vedere, nel marasma disorientante delle uscite discografiche … Consideratelo, non chiede altro … Io credo che se lo meriti.
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