Non è affatto comune trovare un “guitar hero” che, oltre i nomi più “normali” di Steve Vai, Allan Holdsworth, Shawn Lane e Pat Martino, cita tra le sue influenze anche quelli di Nine Inch Nails, Prodigy, Ministry, Bauhaus, Slipknot, Rammstein, Static-X, Meshuggah, Mudvayne, Rob Zombie, Type O Negative, SYL, Cannibal Corpse, Deicide e Apoptgyma Berserk.
Questo perché, in effetti, assolutamente non comune è la musica che il chitarrista italiano Emiliano Sicilia affida ai solchi ottici del suo primo Cd denominato “Devotion, materialize”, uscito di recente per la Horus Music di Gianluca Galli.
Se la tecnica sopraffina di Emiliano non sorprende più di tanto, visto un patrocinio così autorevole, è il suo orientamento sonoro a lasciare parecchio spiazzati, almeno ad un primo (e anche ad un secondo, a dire la verità) ascolto: jazz, blues, metal, industrial, flamenco, country, virtuosismi d’alta scuola e ambientazioni da film horror (altra grande passione del nostro) vengono obbligati ad una bizzarra convivenza e tali accostamenti arditi, spesso apparentemente inconciliabili, assumono, nelle sapienti mani e nelle frenetiche sinapsi cerebrali del chitarrista meneghino, i contorni di un suono che all’inizio sembra incoerente e disomogeneo, ma che poi, con una corretta applicazione, comincia ad essere progressivamente assimilato dall’apparato uditivo come una forma “di vita”, sempre piuttosto imprevedibile, ma assolutamente attraente.
Un po’ come un “alieno” la cui personalità si comincia pian piano a comprendere ed a stimare, pur nelle sue “stranezze” e particolarità, la proposta di Sicilia s’impara gradualmente ad apprezzare, cogliendone le sfumature e, perché no, la genialità nel gioco dei contrasti e nella conciliazione degli opposti, una qualità che lo avvicina nell’approccio proprio ad un altro dei suoi dichiarati modelli: Devin Townsend.
La voce dello stesso titolare del disco, assieme a quella di Danilo Di Lorenzo, di Pamela Manzo, ai growls di Cristiano Re dei Relaypse e agli screams di Pier Paolo Balice dei Lawbreakers, contribuiscono ad accentuare le contrapposizioni d’umore, così come le continue variazioni di clima stilistico disorientano e intrigano con la stessa intensità.
Esemplare in questo senso si rivela “Splatter on a bluegrass” che sembra materializzare quanto descritto nel titolo, tra vorticose fantasie iberiche, ritmi techno, roots music yankee e la vocalità brutale di Re in conflitto con quella pulita della Manzo o “The new reality suite”, uno strano caso di nu-metal/industrial allucinogeno suonato in un jazz club post-apocalittico (ve lo consiglio caldamente; è un’esperienza davvero suggestiva!) o ancora “3000 Zombies”, che alterna ferocia sintetica, aperture solari e swing.
“Cyber Room” (introdotto da una “classica” motosega), con un gradevole break di stampo fusion in una costruzione armonica assai coinvolgente, l’electro-country-metal denominato “Neurosaloon”, lo scontro tra atmosfere acustiche, motivetti elettronici e vertiginosi fraseggi metallici di “The green mirror” e il minaccioso “Thermodynamic hypothesis”, sono i brani esclusivamente strumentali dell’albo che confermano l’irrequietezza espressiva del loro autore ed espongono oblique angolosità estetiche oltre che una fenomenale perizia esecutiva, necessitando anch’essi di ascolti prolungati per poter colpire veramente nel segno.
“Devotion, materialize” rappresenta, così, un prodotto non esattamente adatto a tutti i palati e se l’immediatezza e l’istantanea fruibilità sono per Voi caratteristiche imprescindibili per un Cd, direi che sarebbe probabilmente meglio rivolgersi altrove.
Per tutti gli “esploratori dell’insolito”, musicisti compresi, il suggerimento è invece quello di dedicarsi con paziente concentrazione all’opera di Emiliano e di non fermarsi all’apparenza … potreste meravigliarvi del suo effetto e magari anche imparare qualcosa in fatto di creatività.
Migliorabile la copertina …