Ci vorrebbero chilometri di inchiostro per parlare dei Manowar e di quello che rappresentano nel mondo dell’heavy metal, e ci sarebbe da tributare loro una eterna fedeltà anche solo per i primi quattro album che hanno scritto, ma cercherò di essere breve ed estremamente chiaro.
Questo “Warriors Of The World” non è altro che il nuovo album dei Manowar; basterebbe questa frase per recensire il disco (ma forse sarei davvero troppo breve), e per un fan sarebbe più che sufficiente, ma cerchiamo di descrivere il contenuto di questo lavoro che molti di voi hanno avuto già occasione di ascoltare grazie alla diffusione che c’è stata in rete (ma vi sfido a non desiderare l’originale quanto prima). Non sono sicuro che la tracklist definitiva sia quella in nostro possesso su questa demotape ma, in ogni caso spero davvero che l’opener dell’album rimanga “A Call To Arms”; una song di una potenza devastante che denota la produzione ancor più aggressiva che in passato senza però perdere quel sound “classico” del metallo tradizionale. Una nuova “Blood Of My Enemies” con la graffiante voce di Eric Adams in primo piano, che dai toni bassi sale lentamente fino ad un climax rappresentato dall’epico ritornello accompagnato dai cori. A seguire la semi-ballad “The Fight For Freedom” che da un intro con pianoforte alla “Courage” sfocia in una song simil “Carry On”, assolo compreso; il testo è chiaramente riferito agli avvenimenti dell’11 Settembre ed è, come dire, molto “americano” come tutto l’album, a partire dalla copertina. Ma in questo disco così “americano” c’è spazio anche per un po’ di Italia; dopo le quattro canzoni tratte dal Gods Of Metal italiano ed inserite nelle due versioni del singolo, ecco che fa la sua comparsa il “Nessun Dorma” di Puccini in versione studio. Chi se non i Manowar poteva fare suo il tema più epico della musica lirica ? Il ricordo va immancabilmente all’esecuzione dal vivo del ’99 a Milano quando, a sorpresa, i quattro Kings Of Metal ci omaggiarono di cotanto brano e, tra il pubblico ci fu più di una lacrima (ammettiamolo brothers, abbiamo un gran cuore) . Si potrebbe facilmente credere di essere arrivati all’apice delle emozioni, e invece no; dopo una breve intro di archi arriva uno dei brani più epici che i nostri guerrieri newyorkesi abbiano mai composto: “Swords In The Wind”. Testi e musica sono semplicemente stupendi e nuovamente la voce di Eric lascia estasiati; io comprerei un suo album anche se cantasse filastrocche per bambini, o “tanti auguri a te” oppure se recitasse l’elenco del telefono !! Si riconferma uno dei più grandi della storia, con la sua voce riesce ad esprimere dalla più dolce delicatezza all’odio più atroce. A conferma di ciò c’è “An American Trilogy” che si fa maestosa con l’incedere e in cui Eric da lieve e leggero si fa sempre più potente. Alla strumentale e Wagneriana “The March” segue l’ormai celebre singolo “Warriors Of The World” che mieterà vittime al Gods, ne sono sicuro. Con le ultime tre canzoni si torna al classico metallo forgiato Manowar, “Hand Of Doom” ricorda come struttura “Return Of The Warlord”, e diversamente che in precedenza Logan mette in mostra un po’ della sua tecnica.
“House Of Death” mi ha fatto ripensare a “The Power”, ma la mia preferita rimane la conclusiva “Fight Until We Die”, forse per le linee vocali più varie o per l’incedere guerresco e cadenzato e gli acuti di Eric Adams e quel “Thor God Of Thunder !” cantato come solo lui sa fare.
Avvicinandomi a questo lavoro con un atteggiamento più critico potrei dire che ci sono molti pezzi lenti, ma ripensandoci bene li canta Eric Adams ! I testi non sono sicuramente innovativi o scritti da professori di filosofia, il che li rende però immediati e comprensibili praticamente a tutti i metallari del mondo.In conclusione i vecchi e nuovi fans verranno folgorati o si innamoreranno lentamente come per i vecchi album, i detrattori continueranno ad accusare e deridere piuttosto che ignorare, ma la cosa più importante rimane questa: è uscito un nuovo album dei Manowar !!
Whimps and Poser leave the... leave this review!! Qui si troveranno solo lodi al nuovo lavoro dei Manowar, "Warriors Of The World", che sancisce il ritorno dei four warriors dopo una lunga attesa, visto che il loro precedente album in studio risale addirittura al 1996. La curiosità di ascoltare nuove canzoni dei Manowar era forte, anche perché "Louder than Hell" mi era sembrato un po' troppo di maniera, con alcuni brani in cui i Manowar se l'erano cavata con il mestiere. Questa sensazione non trova nessuna corrispondenza su "Warriors Of The World United", qui DeMaio e brothers sembrano veramente ispirati. Se proprio devo muovere un appunto lo faccio alla disposizione dei pezzi nella scaletta che vede i brani più aggressivi "relegati" al fondo mentre quelli più melodici e quelli più "sperimentali" trovano posto rispettivamente nella parte iniziale ed in quella centrale dell'album. Per partire non c'era scelta migliore della cadenzata ed anthemica "Call to Arms" (anche solo per il titolo!) un mid tempo all'altezza dei brani migliori di "Kings of Metal". Non sarebbe nemmeno il caso di dirlo ma la prestazione di Eric Adams è eccezionale, ed anche Karl Logan si mette in grande evidenza. "Fight For Freedom" si sviluppa invece senza troppi sussulti su un ritmo marziale dopo un inizio piano e voce che a me ha ricordato in modo incredibile alcune cose di Tom Waits. Ma non era a questo che mi riferivo usando il termine "sperimentale". Calma, calma... non c'è niente di che spaventarsi, ed infatti l'inclusione di "Nessun Dorma" si poteva anche prevedere dopo che i Manowar avevano proposto dal vivo la famosa aria della Turandot al Gods of Metal del 1999. Un arpeggio di chitarra ed una stupenda interpretazione di Eric Adams aprono uno dei momenti più riusciti: "Swords In The Wind" che credo meriti di essere definita come la più degne erede di "Heart of Steel" per quel feeling epico e malinconico che sprigiona. Più inaspettata (e non del tutto riuscita) è sicuramente "An American Trilogy", la ripresa di un tributo alle tradizioni americane a suo tempo realizzata da Elvis Presley, cui segue "The March" uno strumentale tutto sommato inutile che prepara il terreno per la titletrack, altra anthem song nel più classico stile del gruppo pronta a cancellare piccoli dubbi che stavano già iniziando ad abbozzarsi. Da qui in avanti è un crescendo, la dimostrazione di cosa sia il Power Metal, che prende il via con "Hand Of Doom" e che ha il suo culmine in "House of Death": ecco che gli anni passati da "Hail to England" ad oggi svaniscono in un batter d'occhio, stritolati dal basso galoppante di Joey DeMaio e dal martellare di Scott Columbus. Rimane ancora tempo per "Fight Until We Die", altro pezzo con un alto coefficiente di velocità e di epicità a cui spetta la conclusione. Un paio di brani di questo livello piazzati strategicamente nella tracklist e saremmo di fronte ad un capolavoro...