Ricordo ancora con piacere quella lezione di storia dell'arte al liceo in cui la professoressa ci avvicinò al concetto di sublime, o "l'orrendo che affascina". Quei fenomeni, spesso naturali, che ci spaventano ma allo stesso tempo ci attraggono con forza: vulcani in eruzione, tempeste, bufere di neve, montagne scoscese e pericolose. Le opere di Turner, Constable, Friedrich hanno contribuito a trasmettere questo stato d'animo con differenti sfumature, ponendo l'accento chi sul paesaggio naturale chi sugli avvenimenti quotidiani.
Fin qui l'arte visiva, che "The Sublime" dei Sepia Dreamer vuole allo stesso tempo omaggiare e ricalcare, dimostrando che le stesse sensazioni possono essere create con l'utilizzo della musica al posto delle immagini. Certo, ci vuole un pizzico di fantasia in più, ma è proprio in questo scollamento tra la percezione e la raffigurazione che sta la bravura dell'artista. Sinceramente mi viene difficile dire se l'obiettivo di questo talentuoso duo sia stato raggiunto... Certo, qualche pezzo in cui si avverte la tensione drammatica propria del sublime c'è, ma trovo che spostandosi verso altri lidi il risultato sia stato anche migliore. Uno dei gruppi che credo incarni meglio questa sensazione sono ad esempio i My Dying Bride, maestri nel'atterrire l'ascoltatore incantandolo a sè.
I Sepia Dreamer sono più atmosferici e rilassati, con frequenti sprazzi di chiarore che illuminano le composizioni. Un pò come una bella giornata di primavera, ancora fresca ma con quel tepore che riscalda il corpo e inietta positività e speranza. Certo qualche parte più tenebrosa c'è, in particolare quando sono gli strumenti metallici a prendere il sopravvento, spingendo il duo ai limiti del doom. E' in alcuni di questi momenti che i Sepia Dreamer danno il massimo, creando melodie che trasmettono sensazioni di ansia e melancolia. Basti sentire il decimo minuto di "The Exposition" con la violenza delle chitarre che fa da contraltare agli intermezzi tastieristici. I due pezzi centrali sono piuttosto lunghi e contengono al loro interno alcune di queste riuscite partiture, immerse in divagazioni strumentali (non c'è voce in "The Sublime") a volte azzeccate ma spesso anche troppo velleitarie e forzate.
Si prova stupore nell'ascoltare quest'album, ma permettetemi di dire che lo stato d'animo creato dalla visione di "The Slave Ship" è proprio tutt'altra cosa.
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