I Thunderstorm danno ormai, come le bands più navigate e solide, la sicurezza di ascoltare un disco comunque valido già prima di inserirlo nel lettore; così era stato per il precedente “Faithless Soul”, così è oggi per il nuovo “As We Die Alone” che continua la tradizione della doom band italica, sempre più regina nostrana di questo genere musicale. Tuttavia…qualcosa è cambiato, anzi ben più di qualcosa.
Accentuando ulteriormente rispetto al passato le influenze settantiane, con ovvi nominativi quali Ozzy Osbourne e Black Sabbath in testa, i Thunderstorm si distaccano quasi completamente da quel doom, più moderno ed estremo se vogliamo, che aveva caratterizzato le prime due uscite discografiche per gettarsi a corpo morto nelle sonorità dell’opener “Hawking Radiation” e la seguente “Death Rides on the Highway” che testimoniano la scelta di puntare più sul groove che sull’impatto.
Beh, sebbene il tutto sia fatto in maniera assolutamente ed altamente professionale, con songwriting all’altezza, buona produzione e prova magistrale della band, manca quel qualcosa di più maligno, di ipnotico, di violento, che invece abbondava in passato, puntando oggi più sulle melodie, su giri armonici, su elementi decisamente più puliti e nitidi che potrebbero sì far gioire tutti i fans degli anni ’70 ma anche far storcere la band ad ascoltatori più conservatori e di vecchia data.
Insomma, per farla breve, la dimensione metal, epica ed ottantiana è andata praticamente svanendo, lasciando una band incentrata pesantemente sul doom della decade precedente… Questo parametro sarà fondamentale per l’eventuale acquisto del disco da parte dell’ascoltatore.
La bella semi-ballad “We Die As We Dream” e soprattutto la seguente “Hypnowheel of Life” rimettono un po’ le cose a posto ma ormai i ponti col passato sono belli che tagliati e questo è testimoniato anche dalla cover conclusiva di Jimi Hendrix “Voodoo Child”, ineccepibile in ogni caso nell’esecuzione. Fa eccezione la bellissima “S.L.O.W.”, un ritorno alle sonorità Candlemass (“Samarithan” fa l’occhiolino…) e, chissà se casualmente, probabilmente il pezzo migliore del disco.
Che dire ancora? Come sostenuto in apertura, sicuramente un disco di qualità ma di cui, causa netto divario con quanto suonato in precedenza, va ben ponderato l’acquisto, a meno che si sia fans degli anni ’70 in generale.
Un disco di rottura che speriamo apra nuove porte e nuovi orizzonti ad una band sicuramente meritevole e sottovalutata in tutti questi anni.
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