Avevo trovato “Animal anger” un disco discreto, con alcuni difettucci perdonabili ad un debutto, purtroppo non superati (anzi forse addirittura accentuati!) nel successivo “Criminal justice”, pesantemente “strapazzato” dal collega Lorenzo 'Txt' Testa su queste stesse pagine.
Come sarà la prova di “maturità” del terzo album? Come suona “Deadringer”?
Diciamo che “suona” bene, nel senso che i musicisti coinvolti nei Razorback sono tutta gente valida e tecnicamente preparata, a partire dal singer Stefan Berggren (Snakes In Paradise, Company Of Snakes), passando per Rolf Munkes (Empire, Majesty) e Chris Heun (Shylock), per arrivare al nuovo ingresso di Mr. onnipresenza Mike Terrana, ma se con questo verbo intendiamo qualcosa che vada oltre il “semplice” concetto di perfezione formale, beh, le cose cambiano un pochino di prospettiva.
Quello che manca (ancora una volta, direi) a “Deadringer” sono delle canzoni veramente vincenti, che sappiano interpretare con personalità e acume quell’hard rock dai connotati classici che è da sempre il terreno d’azione di questo collettivo (oggi divenuto) teuto-scandi-americano.
Non basta, infatti, la voce di Stefan, un’egregia combinazione tonale tra Dio e Coverdale, non è sufficiente la chitarra affilata di Munkes o una macchina ritmica senza difetti palesi come quella gestita dalla coppia Terrana / Heun, per fare la differenza e bisogna aspettare la quinta canzone per cominciare ad imbattersi in un brano davvero interessante; si chiama “Hero” e, nonostante la dipendenza di marca Dio/Rainbow, sa come farsi apprezzare in maniera abbastanza istantanea.
A dire la verità, la seconda parte del disco aumenta il coefficiente qualitativo dei suoi episodi costitutivi, quando, cioè, Berggren decide di dare libero sfogo alle sue migliori doti di “swedish Coverdale” (una cosa nuova eh?), con brani quali “Line of fire”, “Miracle baby”, “Rock’n roll life in Hellsinki”, “Let me give my lovin’” e “Razor blues”, ben assecondato da tutti i suoi “soci”, che evidentemente pure loro si giovano di quest’atmosfera piuttosto “serpentesca”.
Niente di trascendentale, sia chiaro, ma se non altro si tratta di una vocazione ispirativa gradevole e abbastanza ben interpretata.
Mentre scrivo i Razorback sono impegnati nel tour europeo, in compagnia dei Cornerstone … una buona occasione per capire la differenza tra un gruppo “dignitoso” e uno degli eredi più autorevoli della “nobiltà” del settore.
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