Se ne parlava l’altro giorno al pub, davanti ad una pinta di Franziskaner ben fredda, con l’amico Yuri, esperto di jazz, liscio e robaccia rock. La domanda era “Cosa rende un disco ‘bello’? Quali sono i parametri per poter definire un disco bello?” In buona sostanza, il discorso girava intorno al fatto che nel jazz, come nel metal, molto spesso si affibbia l’etichetta di ‘bello’ laddove invece andrebbe quella di ‘tecnicamente impegnativo’; più un disco dimostra la mera abilità tecnica dei suoi esecutori, più la gente tende a considerarlo un bel disco. Il rischio, ovviamente, è quello di ‘suonarsi addosso’, ossia di cominciare a produrre musica che può essere interamente apprezzata e fruita solo da intenditori di questo o quello strumento, o comunque da orecchie già pienamente svezzate. Così, ovviamente, non dovrebbe essere, le variabili per distinguere un bel disco da uno brutto in fondo sono soggettive, e, a mio parere, molto più istintive: un disco ti può piacere per mille motivi, il tiro che ha, la voce del cantante, il genere o le sensazioni che ti sa trasmettere. È questo il problema di un mercato che sa mandare i Dream Theater al secondo posto in Italia e che, dopo di loro, non vede entrare in classifica NESSUNO di nessuno, nel nostro amato genere.
Riconducendo il discorso a questo “Dragonheart”, dei tedeschi/americani
Messiah’s Kiss, le cose si semplificano. A molti piace la copertina (copiata pari pari da “Gate of Hell” degli Skylark??), molto fantasy-oriented (e, sinceramente, con la musica di questo disco, non c’entra nulla), ad altri il particolare timbro vocale di Mike Tirelli, che nella bio non fa mistero di adorare Ronnie James Dio (e si sente lontano un miglio), altri ancora apprezzano le possenti sfuriate di pezzi come “The Ancient Cries”, o “Nocturnal”… Insomma, l’atavico dilemma si ripropone in tutta la sua pressante attualità: cosa rende un disco bello? A questo “Dragonheart”, per carità, non mancherebbe niente, se non fosse che, tanto per cambiare, la musica è trita e ritrita, seppur godibile e molto ben suonata. C’è tanto, tanto buon heavy metal in queste undici tracce, duro, roccioso e a tratti davvero coinvolgente, ma dov’è la ‘scintilla’? Il mio amico Yuri (sempre lui) dice che gli sembrano “i vecchi gruppi, solo un pò mescolati e accelerati”. Ma lui, ovviamente, di metal non ne capisce niente… oppure no? Uhm…
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