Trovo inspiegabile che gli
Holy Martyr abbiano dovuto aspettare così tanto prima di riuscire a realizzare il fatidico album d'esordio, mentre non mi stupisce che questo sia potuto accadere sotto le ali della Dragonheart, una delle poche etichette in grado di dare il giusto supporto all'Epic Metal proposto dagli Holy Martyr.
"Still At War" è, sin dal titolo, una dichiarazione d'intenti, un album che recupera le atmosfere di gruppi come Omen (dal loro brano incluso su "The Curse" il nome adottato dalla band), Cirith Ungol, Manilla Road, Manowar, e per farlo la formazione sarda (nata addirittura nel 1994 sotto il monicker Hell Forge) reincide diverse canzoni che a suo tempo erano incluse sui vari demo ed EP che tanto avevano entusiasmato le frange metalliche dedite a queste sonorità.
Qui il Metal avanza inquadrato con le Legioni Romane ("Vis et Honor") alla conquista dell'ascoltatore, sotto le insegne dell'Imperatore e quelle dell'Heavy Metal.
Beh, se vi è affiorato un sorriso sarcastico sulle labbra, è difficile che possiate comprendere ed apprezzare un lavoro come "Still At War", che va al di là delle mode e dell'evoluzione. L'Epic Metal che gli Holy Martyr propongono è grezzo, potente, battagliero e sanguigno, evocativo e magari ingenuo, ma sicuramente li colloca tra i migliori esponenti del genere. Che guarda caso spesso e volentieri provengono dall'Italia.
Un'altra marcia epica è sicuramente "Ares Guide My Spear", dove si passa (liricamente) dall'Antica Roma alla più raffinata Grecia. Spazio poi a quella scheggia speed/thrash che prende il titolo "Warmonger", dove si fanno apprezzare le atmosfere orientaleggianti ispirate dalle chitarre di Ivano Spiga ed Eros Melis. La lunga "Hatred Is My Strength" ha invece qualcosa dei migliori Running Wild (i primi...), e su questo brano Alex Mereu, tende a ricordare più Blaze Bayley che il rimpianto J.D. Kimbal (Omen, probabile punto di riferimento per il cantante sardo, che però deve migliorare il suo inglese). La cadenzata e marziale "From the North Comes the War" mantiene fede al proprio titolo: la battaglia sta per travolgere l'ascoltatore, anche se poi uno dei suoi momenti migliori e rappresentato dall'evocativo break strumentale. Il pathos non cala nemmeno con "Hadding Garmsson", caratterizzata dall'interpretazione di Alex Mereu e da un finale galoppante, e con la conclusiva "Ave Atque Vale", anthem dal passo serrato, fiero e marziale, con le chitarre che per l'occasione si fanno spiccatamente maideniane.
Si può tranquillamente affermare che "Still At War", anche per la scelta di rispolverare il proprio repertorio, registri l'inizio di una nuova avventura per Holy Martyr. La produzione è ovviamente allineata alle atmosfere del disco, grezza e demodè il giusto, in grado di far risaltare l'essenzialità e l'impatto frontale del disco, qualità espresse graficamente anche dall'artwork, semplice ma efficace.
Quanto gli Holy Martyr.
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