Lo avrò sicuramente detto qualche altra volta, ma voglio ribadirlo … il bello di questo “lavoro” è che, oltre a consentirti spesso di parlare dei tuoi “idoli”, ti dà pure la possibilità di “scovare” talenti ai quali difficilmente ti saresti accostato da “semplice” musicofilo.
Nel caso in cui, poi, tale “scoperta” si fosse anche realizzata, la tua urgenza di comunicare al “mondo” la grandezza dell’artista in questione si sarebbe limitata ad una ristretta cerchia d’amici, abbastanza “diversa” dal potenziale bacino di pubblico di una webzine autorevole come Eutk.
Insomma, tessere le lodi (o eventualmente criticare) i “grossi” nomi è decisamente appagante, ma rivelare le qualità di una band abbastanza sconosciuta, riserva forse persino un pizzico di maggiore eccitazione ed ecco perché oggi sono davvero felice di scrivere per questa “rivista virtuale”, sperando, come e più del consueto, che siano in molti a leggere queste mie parole, augurandomi, oltre tutto, che siano abbastanza eloquenti da far comprendere a fondo quanto incredibilmente bravi siano questi P:O:B.
E già, perché è colpa di questi sorprendenti (fin dal monicker, acronimo di Pedestrians Of Blue) norvegesi, se mi sono dilungato in quest’introduzione, un gruppo a mio modo di vedere straordinario, probabilmente non noto come in realtà meriterebbe.
Già artefici di un paio di lavori autoprodotti a quanto sembra piuttosto apprezzati dalla critica specializzata, i nostri arrivano al debutto sulla lunga distanza scegliendo in sostanza la medesima soluzione realizzativa (la FishFarm è l’etichetta personale dei P:O:B), facendosi aiutare da Daniel Flores (presente anche sia in fase esecutiva, sia nel mixaggio) e da Mika Jussila (masterizzazione), due nomi piuttosto popolari del rock business, che evidentemente hanno creduto nelle imponenti virtù del collettivo di Haugesund.
I tre membri base (Johannes Stole, Torfinn Sirnes e Rudolf Fredly) della band e i loro preziosi collaboratori presenti in “Crossing over”, ci offrono una varietà d’influenze e di stili, che viene abilmente mescolata e riproposta in una forma musicale costantemente intelligente e stupefacente, chiamante in causa ora il prog, altre volte l’hard rock (se non addirittura il metal), altre ancora il pomp-AOR.
Un suono volubile e incredibilmente emozionante, che ammalia istantaneamente e poi si svela ulteriormente ascolto dopo ascolto, in cui si possono davvero riscontrare, come afferma la loro biografia, tracce della musica di Queensrÿche, Dream Theater e Black Sabbath (mentre per quanto riguarda i Toto, avrei qualche riserva), ai quali aggiungerei anche lampi di Rush, Marillion (post-Fish), Saga, Yes e Styx, assemblati con una sensibilità e una sinergia tale da far diventare i suddetti numi tutelari delle “semplici” indicazioni di massima per chi debba decidere di avvicinarsi per la prima volta a tale strepitoso caleidoscopio di note.
Perizia ed inventiva strumentale non autoreferenziale, freschezza e “spessore” nel songwriting (dal punto di vista “concettuale”, l’albo tratta dei conflitti di un giovane tra famiglia, amore e religione), durezze prog-metal (senza eccessi), ammirazione per la tradizione sviluppata con mentalità “moderna” e libera, approccio vellutato alla melodia che all’occorrenza diventa evocativa, malinconica e oscura, sono questi gli elementi fondamentali di un disco privo di lacune, in cui non hanno veramente senso le cosiddette “menzioni d’onore”, dacché ogni brano, credetemi, con le sue particolari prerogative, ha talmente tanti motivi per essere elogiato, da esaurire velocemente tutti i sinonimi di “splendido”, “coinvolgente” e “appassionante” disponibili nella pur ricca lingua italiana.
Per il sottoscritto, i P:O:B sono una delle “nuove” realtà più interessanti, ispirate e ricche di ingegno della scena rock internazionale, una sorpresa incredibilmente gradita che merita il massimo dell’attenzione possibile.
Speriamo che almeno qualcuno là fuori se n’accorga...
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?