Ho sempre nutrito una simpatia particolare per Dan Lilker, di sicuro uno dei personaggi cardine del metal estremo americano… Anthrax, Nuclear Assault, S.O.D., Exit 13, e naturalmente Brutal Truth, oltre a qualche altra decina di gruppi... ovunque abbia suonato ha sempre lasciato il segno, con il suo stile inconfondibile al basso e la sua attitudine estrema. Quando nel ’92 uscì “Extreme conditions demand extreme responses” rimasi incredibilmente colpito da questo gruppo che era capace in maniera del tutto naturale di rimodellare il grind core a proprio piacimento, con numerosi innesti death e una perizia innata nel riuscire a controllare chirurgicamente anche le parti più veloci ed estreme. Nel corso degli anni, poi, sono arrivate le influenze industrial, molto in voga in quel periodo, a rendere il tutto ancora più malato e pesante. Dopo il secondo full length e una serie infinita di EP e split i nostri decidono di separarsi dalla Earache ed approdano alla Relapse, che nel 1997 pubblica questo “Sounds of the animal kingdom”, dalla particolarissima copertina, e anticipato, qualche mese prima, dall’EP “Kill trend suicide”. Ora che la band è tornata sulle scene dopo uno split di qualche anno, la Relapse decide di ristampare questi due gioiellini in un unico cd. Trenta tracce di violenza sonora inaudita, di chaos organizzato, gestito da una band che all’epoca era sicuramente un passo avanti rispetto a tanti colleghi più blasonati, una band che non ha mai avuto timore di mostrarsi estrema in tutto ciò che faceva, dalla musica ai testi al look. Come tutti i geni, però, i Brutal Truth non furono capiti appieno… troppo estreme le loro idee, troppo estrema la proposta sonora, che, come già detto, espandeva il grind core con innesti di industrial, hardcore, thrash, death, doom e quanto di più malato ci fosse a disposizione in quegli anni. Se la vediamo da questo punto di vista, questa ristampa ha quindi oggi un valore notevole, visto che può dare la possibilità di riscoprire un gruppo fondamentale, senza contare il fatto che con dieci anni in più di bagaglio musicale alle spalle risulta anche più semplice capire un disco che per l’epoca era magari troppo avanti… Gli elementi che contraddistinguono il sound della band ci sono ovviamente tutti: brani corti e veloci, batteria schizzata, il basso ultra distorto del buon vecchio Danny e le urla straziate di Kevin Sharpe. Se rispetto all’esordio la furia cieca è leggermente più controllata, di sicuro la perizia tecnica è maggiore e i brani risultano forse ancora più micidiali. Dopo una tripletta iniziale al fulmicotone si riprende un attimo fiato con “Fucktoy” e “Jemenez cricket”, più lente e claustrofobiche, prima di tornare a picchiare duro con “Soft mind”. È il basso di Dan ad aprire “Average people” che funge da apripista per “Blue world”, brano incredibilmente lungo per gli standard del gruppo (oltre sette minuti), e prima track contaminata e industrial del cd. Solo undici secondi per “Callous”, a dimostrazione dell’assoluta anarchia stilistica che regnava nella band, in grado di passare con disinvoltura dalle parti più sperimentali e ricercate a quelle di schizofrenia pura… Ancora echi industriali in “Sympathy kiss” e in “Pork farm”, mentre con “Foolish bastard” e “Postulate then liberate” si torna alla pazzia pura, con forti richiami ai Napalm Death più malati. Il cd si avvia alla conclusione, ma c’è ancora tempo per le schizoidi “Blind leading the blind”, “Let’s go to war”, e “Zombie” dell’EP “Kill trend suicide”. Più sperimentale e schizzato del full length che lo seguirà, all’epoca fu un degno antipasto che valse ai nostri il contratto con la Relapse. Come ciliegina sulla torta il video clip di “Dead smart”, tanto per cambiare malato come tutto ciò che riguarda la band newyorkese. Una buona ristampa per i più giovani di voi che all’epoca non hanno potuto apprezzare il genio dei Brutal Truth...
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