I Graveworm appartengono a quella schiera di band italiane amate/odiate, senza vie di mezzo. C’è chi li apprezza sia per le sonorità dei loro cd, sia perché sono riusciti ad affermarsi a livello europeo, chi invece li denigra per lo più per gli stessi motivi, adducendo il loro successo a mere trovate pubblicitarie e giusti agganci, più che a un reale valore artistico. Io penso, dal mio punto di vista, che la verità sia nel mezzo, come sempre. Sono dieci anni ormai che sono sulle scene, e hanno pubblicato già sei full length, di cui due addirittura con la Nuclear Blast e quest’ultimo “Collateral defect” con la Massacre Records. Beh, cosa dire della loro ultima fatica? All’incirca quanto è stato già detto per i loro precedenti lavori… nessuno nega le loro capacità come musicisti, e se a questo aggiungete un’ottima produzione potete ben capire come questo nuovo cd abbia in teoria le carte in regola per imporsi nel sempre più affollato mercato discografico metal. Ma… c’è un ma… i contenuti sono all’altezza di tutto questo? Direi di no, o comunque non del tutto… Le song dei Graveworm suonano esattamente come quelle degli ultimi album dei vampirelli spastici più famosi del mondo, se non fosse per le evidenti differenze vocali tra Stefan Fiori e Dani “Puffo” Filth (e neanche sempre a dire il vero). Black metal sinfonico con doppia cassa a mille e inserti gothic che faranno sicuramente la gioia degli amanti del Conte e dei più giovani in generale. Immancabili quindi le tastiere a tessere trame più o meno malinconiche e decadenti, che vanno ad inserirsi in un guitar riffing serrato e continuo. In poche parole, originalità zero. Ma evidentemente questo alle case discografiche importa poco, perché sappiamo benissimo che quello inaugurato dalla band di Dani Filth è uno dei filoni più redditizi del metal. È innegabile, quindi, che questo “Collateral defect” piacerà e venderà, alla faccia dell’originalità della proposta. Ovviamente quando si arriva a questi livelli il valore qualitativo non può essere basso, tant’è che nessuno discute sulle effettive qualità del cd. Il problema è che di canzoni di questo tipo ne abbiamo già sentite a centinaia, e non si discostano di un millimetro da quanto espresso negli scorsi anni dai Cradle Of Filth, dai Dimmu Borgir (prima che diventassero ancora più orchestrali del solito) e da milioni di band emule. Gli spunti positivi ci sono anche, ma saltano fuori solo di tanto in tanto. Per il resto si ha troppe volte una sensazione di deja vu, con riff triti e ritriti e soluzioni armoniche che ormai conosciamo a memoria. Sinceramente non penso ci sia molto di più da segnalare, a parte il fatto che i nostri si sono cimentati con una cover di “I need a hero” di Bonnie Tyler. Penso che il discorso sia chiaro: se non siete ancora stufi di cd del genere e amate a dismisura sonorità a metà tra black sinfonico e gothic questo “Collateral defect” farà la vostra gioia. Se invece già non amate gli originali, dubito che possiate apprezzare le copie, per quanto ben fatte. Ciò non toglie che questo nuovo cd porterà ulteriore fama ai Graveworm e contribuirà ad affermarli ancora di più a livello internazionale, portando un’altra band italiana sempre di più alla ribalta (nonostante loro sotto sotto si sentano più tedeschi che italiani). Se poi questo sia giusto o meno non sta a me giudicarlo…
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?